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venerdì 1 dicembre 2017

Vespertina - Glossolalia

#PER CHI AMA: Acoustic Experimental Folk, Chelsea Wolfe
Il mese di maggio, per la religione cristiana, è il mese dedicato alla Madonna. Quando ero ragazzino infatti frequentavo il rosario serale con i miei nonni, ogni sera di maggio. Si teneva la testa bassa e le mani congiunte e si recitavano innumerevoli avemarie, come sfondo campi di vigne ed il pigro tramonto primaverile. Sono proprio questi mesi di maggio della mia infanzia che riaffiorano vedendo Lucrezia decantare salmodie e arpeggiare dolcemente la chitarra sul palco dell’Arci Dallò, un’esperienza che non può essere relegata al solo aspetto musicale. Vespertina è in grado di creare una dimensione alternativa che pare raggiungibile solo attraverso anni di raccoglimento e di ascetismo, in cui la luce si fa da parte cosicché le tenebre possano sfoggiare il loro divino splendore. 'Glossolalia' è il nome del disco, una fusione tra “glosso” (lingua, dal greco) e “litania”, perfettamente calzante visto la similitudine delle tracce a preghiere dimenticate e l’utilizzo non convenzionale dell’italiano che va a quasi a delineare un nuovo idioma. Lucrezia spezza spesso le parole oppure le deforma incastonandole in vocalizzi mistici ed eterei, tanto da lasciare il significato dietro di sé per creare con i soli suoni un ambiente fuori dal tempo e dal pensiero. Il disco è stato preceduto dallo splendido singolo “Nuova York” un’uggiosa ballata che porta con sé un’oscurità ineffabile e delicata, a tratti sembra di sentire Chelsea Wolfe cantare su un brano di John Fahey. La malinconia e l’emozione impregnano il pezzo, tanto da ricordarmi un’alba invernale sulla sterminata campagna in pieno medioevo. Un contadino si appresta ad uscire dalla sua baracca, ancora intorpidito dal freddo, le mani crepate dall’umidità e dal lavoro. Assorto nelle faticose e ripetitive pratiche quotidiane, avanza lentamente tra gli alberi spogli. Lo sguardo però è rivolto alla bianca luce dell’alba che filtra attraverso la nebbia e per un attimo il velo della realtà si apre, la ripetizione si rompe e la maestosità della natura porta ristoro e conforto alle sue stanche membra. Dico di ricordare perché mi pare di aver vissuto in prima persona quello che ho sentito, anche se non può essere vero. In 'Glossolalia' è l’intimità a creare quest'effetto estemporaneo, intimità che è assieme un pregio ed un limite, sarei infatti molto curioso di sentire come le geremiadi di Vespertina possano essere rese attraverso l’utilizzo di altri suoni e di arrangiamenti magari più orchestrali. Ma questa è solo una mia curiosità, i componimenti acustici sono intimi per natura e Lucrezia è in grado di sfruttare questa caratteristica al meglio, come dimostrato nel pezzo di chiusura “Slumber”, che sa di mattina e di nostalgia e che suona come una preghiera pronunciata non per dovere o per fede, ma unicamente per il profondo bisogno dell’anima. Il brano è impreziosito dall’iniziale botta e risposta tra la voce e l’arpeggio di chitarra alla “Wine and Roses” di J. Fahey; una voce a metà tra un lamento ed una supplica poi si fa strada tra gli accordi, come a voler evocare qualcosa che non esiste più, come un fedele che nella sua preghiera dapprima ringrazia ma poi si lascia andare e disperato invoca su di sé la grazia divina. (Matteo Baldi)

(Dischi Bervisti, Dio)))Drone, Toten Schwan Records - 2017)
Voto: 80

https://diodrone.bandcamp.com/album/glossolalia

Tornado Kid – Hateful 10

#PER CHI AMA: Southern Rock
Le dieci cose che più odi, messe in musica dall'ensemble di San Pietroburgo o come affermato dalla band stessa, le tue dieci canzoni che ti vanno in disgrazia dopo una gestazione in studio di due anni. Questo è l'album dei Tornado Kid, inizialmente chiamato 'Cowboys from the North', presumo per la loro ostentata voglia di essere un po' yankee tra le gelide terre del nord, poi sfumato in chiave più violenta. Al contrario di quanto sembri, questo disco è un mix perfetto di southern rock, hard rock, metal pesante e un'attitudine hardcore, come se gli Alabama Thunder Pussy giocassero a fare i Sick of it All o i Misfits in un'atmosfera tutta pistole, whisky, donne, scazzottate e saloon distrutti. La qualità è ineccepibile, cominciando dal tipo di sonorità, ultramoderne e compattissime, passando per tutti i dieci brani, velocissimi e rapidi, suonati, registrati e prodotti a dovere e sempre votati alla massima carica esplosiva. Tanta adrenalina in appena 32 minuti di durata totale. Dicevamo che la qualità è enorme, anche esagerata a volte, poiché il disco risulta tanto perfetto che sembra quasi irreale, patinato nel suo essere esplosivo, dinamico e perfetto. Al primo ascolto ci si rende subito conto di quanto tempo e passione ci abbiano messo a farlo, quanto sudore e quanta dedizione ai particolari, cominciando dalla copertina fumettistica veramente azzeccata. Brani come l'iniziale "Whiskey Beer Anthem", "Killer Song", "Hunger" e "Old World Blues" ti prendono veramente per i connotati e ti trascinano verso un mondo di selvaggia, ruvida e polverosa libertà. Un'ottima colonna sonora per un raduno di bikers, con fiumi di birra e caos, attraverso un disco di moderno rock /metal pesante, fatto per scatenarsi e lasciarsi alle spalle tutti i problemi. Dopo tre EP, finalmente uno splendido esordio sulla lunga distanza, 'Hateful 10', un vero e proprio tornado di adrenalina pura! Seguiteli ne vale la pena! (Bob Stoner)

lunedì 27 novembre 2017

Stolen Memories - Paradox

#PER CHI AMA: Heavy Progressive
'Paradox' è il terzo album in studio per i francesi Stolen Memories, che avevano esordito nel 2010 col disco 'The Strange Order'. Con una formazione di insolito power-trio, privo di bassista, la band di Villeurbanne si ripropone con questo nuovo lavoro in chiave prog metal. A farla da padrone fin dalle prime note di quest’album è la notevolissima abilità tecnica del chitarrista/polistrumentista Baptiste Brun, colonna portante della band insieme al fratello batterista Antoine, nonché autore della quasi totalità delle composizioni. La mancanza delle basse frequenze in pianta stabile è ampiamente sopperita dai movimenti chitarristici che vanno a creare un solido muro sonoro adagiato sulle variabili ritmiche della cassa. In diversi pezzi infatti, cito ad esempio “Exile”, non fa nemmeno ricorso alla quattro corde, seppur in “Obedience” sia presente un bell’intro iniziale basato su una pregevole linea di basso che caratterizza il brano. Solitamente appunto è sufficiente il carattere totalitario assunto dagli assoli e dai fraseggi chitarristici che sostengono ogni brano, come ad esempio in “The Badge” o “Constant Liar”. All’andamento progressivo predominante dell’album si affianca poi una buona dose di sfumature epico-melodiche, grazie anche alla presenza di diverse parti di synth ed effettistica varia, che stabiliscono valide armonie sotto gli assoli del buon Baptiste (davvero notevole quello della già citata "Constant Liar"). A mio avviso però la pecca più evidente dell’album va ricercata nelle liriche poco particolari e le associate linee vocali, forse un po’ troppo “deboli” per lo spirito complessivo del disco. Tuttavia, è notevole l’impatto dei musicisti: tecnica da vendere e belle composizioni, con una certa complessità ritmica. Da tenere sotto controllo. (Emanuele "Norum" Marchesoni)

domenica 26 novembre 2017

The Pit Tips

Francesco Scarci

Enslaved - E
Damnation Defaced - Invader From Beyond
Machines of Man - Dreamstates

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Michele Montanari

Puta Volcano - Harmony of Spheres
Rudhen - Di(o)scuro
Atomic Mold - Atomic Mold Split

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Five_Nails

Drudkh/ Paysage d'Hiver - Somewhere Sadness Wanders/ Schnee IV
Amon Amarth - Jomsviking
Inverted Serenity - As Spectres Wither

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Felix Günther

Armoured Angel - Mysterium
Terrifier - Weapons of Thrash Destruction
Krossfyre - Burning Torches

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Alejandro "Morgoth" Valenzuela

Xanthochroid - Of Erthe and Axen Act II
Thy Primordial - The Heresy of an Age of Reason
Blaenavon - That's Your Lot

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Felix Sale

Mass Hypnosia - Toxiferous Cyanide
Exitus - Black Rot n' Roll
Terrifier - Weapons of Thrash Destruction
 

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Alain González Artola

JoDöden – Sittandes I Sjön Med Vatten Över Huvudet
Dusius - Memory of a Man
Crafteon - Cosmic Reaqakening

sabato 25 novembre 2017

Smokehead - From the Abyss

#PER CHI AMA: Alternative/Hard Rock/Stoner, Nickelback
Cannes, Costa Azzurra, un bel posto dove rilassarsi, magari su uno yacht, con un bicchiere di champagne in mano, cosi come ci mostrano i nostri nel video promozionale sul loro sito. Sparato a tutto voluto poi, l'album di questa compagine originaria proprio di quelle zone. Gli Smokehead rilasciano questo ruffianissimo album, 'From the Abyss', che strizza entrambi gli occhi a band ben più famose, e sto pensando a Nickelback e Foo Fighters, e con queste 14 tracce ci lanciano all'ascolto di un lavoro di corposo rock in grado di farci compagnia per oltre 50 minuti di sonorità che trovano modo di evocare anche un che dei A Perfect Circle (la prima parte di "Crave") e comunque farci muovere con brani grondanti melodia, carichi a manetta di groove e cori super catchy. E dire che l'intro oscura del cd mi aveva fatto pensare a ben altro e invece quando "The Dakota Fire Hole" s'infila nel mio stereo, ecco che chiudo gli occhi e sbatto la testa al ritmo infuocato della musica dei nostri, che peraltro a fine brano, troverà modo di incupire la propria proposta. Si prosegue col rifferama ritmato della già citata "Crave" e con la più morbida (pure troppo) "Fire", che trova fortunatamente modo di raddrizzare il tiro nel corso dei suoi oltre quattro minuti, per proiettarsi poi nella più arrembante e convincente "Black & White". "Would You Wait for Me" è un pezzo che mi intriga più che altro per le sue sonorità cupe, mentre ecco che "Riviera" è una song solare, stracolma di groove e da mood decisamente godereccio, il cui refrain melodico si stamperà obbligatoriamente nelle vostre teste. "Home" è un po' più ordinaria e piatta, ma per farci tornare a saltare, ecco servita "Contamined", una sorta di cocktail di gamberetti in salsa acida, con tanto di chorus robusti che inaspriscono la proposta del quartetto di Cannes. Si va avanti velocissimi, complici le durate sui 3-4 minuti dei brani, con "Let Me Down", un pezzo che combina rabbia, dolcezza, suoni potenti ed una buona dose di melodie accattivanti che introducono alla semi-ballad del disco, "Desire", brani immancabili in album di questo genere. Andiamo oltre o rischio un pericoloso eccesso di zuccheri. È il turno di "Crawling in the Night", pezzo oscuro anche da un punto di vista vocale che convince per il carattere tempestoso ed inquieto delle sue ritmiche. "Bleeding on the Dancefloor" mostra nuovamente influenze che chiamano in causa i Nickelback ma che comunque riesce a convincere per quel suo riff portante. A chiudere 'From the Abyss', ci pensa l'ultima "To the Abyss", un malinconico arpeggio acustico su cui si staglia la voce assai convincente del frontman che chiude con onore, questa prima prova dei francesi Smokehead. (Francesco Scarci)

(Self - 2017)
Voto: 70

Spectrale - ▲

#PER CHI AMA: Ambient Acustico
Da sempre il triangolo è simbolo della divinità, dell'armonia e delle proporzioni, ma esso rappresenta dal punto di vista esoterico, anche mente, corpo e spirito che devono essere equilibrati in tutte le loro parti per ricongiungersi in un nuovo essere o Super Io. E ora quel triangolo diviene anche il titolo del side project di Jeff Grimal, chitarra e voce dei The Great Old Ones, che con i suoi Spectrale, in compagnia di Jean-Baptiste Poujol, Léo Isnard e Raphael Verguin, dà libero sfogo alle proprie celestiali elucubrazioni, che già lo scorso anno avevamo avuto modo di apprezzare nello split in compagnia di Heir e In Cauda Venenum. Nove le tracce a disposizione dei nostri che da "Andromede" a "Retour Sur Terre", ci accompagneranno attraverso un'esperienza eterea che col metal non ha davvero nulla a che fare. La musica dei Spectrale è infatti acustica, esoterica, quasi interamente strumentale e si muove attraverso sinuose melodie che avvolgono l'ascoltatore con il delicato tepore di una chitarra o il caldo e magico suono di un violoncello imbizzarrito che somiglia al battito d'ali di un calabrone pronto a pungere. Difficile identificare un brano piuttosto che un altro, '▲' va gustato tutto d'un fiato per poter godere della meditativa proposta del combo transalpino. Introspettivi, misteriosi, esoterici, gli Spectrale ci regalano la loro forma d'arte da assimilare a livello organico, un viaggio in terre lontane, mediterranee, forse mediorientali, più probabilmente indiane o addirittura dell'estremo oriente. Un viaggio sulla via della seta che sublima i sensi, inganna la mente e riempie l'anima. (Francesco Scarci)

(Les Acteurs De l'Ombre Productions - 2017)
Voto: 80

Interview with ghUSa


An interesting chat with one of the oldest death metal bands in Europe, ghUSa. You can find the details below:

JoDöden – Sittandes I Sjön Med Vatten Över Huvudet

#FOR FANS OF: Black/Folk, early Ulver, Burzum
It’s pretty usual that metal musicians, who take part in several bands, tend to release solo albums just to make some music based on their different influences or musical roots. This is the case with JoDöden’s debut 'Sittandes I Sjön Med Vatten Över Huvudet', which I must mention, it’s a quite funny album title (a rough translation would be “seated in the lake with water over the head”). JoDöden, the mastermind behind this homonymous project, is already known in the black metal scene due to his main projects. Whirling is a band which combines black metal with avant-garde influences, while Sorgeldom was founded by the Swedish mastermind as an acoustic project. Later the project evolved to black metal, becoming a full band with the addition of several members. 

Taking into account the aforementioned musical background and after having listened to the album, I come to the logic conclusion that he has somehow returned to his roots with this solo album. 'Sittandes…' is a nature themed album and specifically a Nordic nature based work. Those beautiful coastal northern towns and extensive forests have served as a spiritual inspiration för JoDöden, whose music tries to evoke the vast and cold essence of northern Sweden. The album has an organic sound, far from those ultra-polished modern works, which in my opinion suits perfectly well the music. As far as I know, these songs have been recorded in different places, moments and even different moods. This explains the heterogeneous sound of these tracks, which initially can be confusing. A good example is the difference in the production between the opener track, “Aprilvädret”, and the more blackish track “Bottenlös”, which comes immediately after the first song. This song has a quite filthy production in comparison. Both tracks are also a good example of what we can find in this work. Stylistically, the album is mainly instrumental, with a great role for the acoustic guitars (like in the first track), while the second one is an example of how JoDöden tries to introduce some of his black metal and avant-garde influences. Anyway, as I have already mentioned, the acoustic sections are quite common and they are usually mainly instrumental. In that aspect, this album reminds me at times Wongraven or even the most acoustic tracks by Ulver. The very few “blackish” sections sound a little bit out of place, although I find them interesting. This is mainly because they add an extra point of variety, which is something this album really needs. The long and sometimes tedious acoustic tracks are, from time to time, broken by slightly avant-garde influenced compositions, which make this album a weird beast. 

In conclusion, JoDöden’s debut solo album is a strange folk album. It combines a nature themed folk with some avant-garde influences and minor black metal sections. It’s mainly instrumental and repetitious style makes it a difficult listen if you don´t usually listen to this sort of stuff. Unsurprisingly, he covers a Burzum track, a band which is well-known for not having very varied tracks. As it happens with Varg’s stuff, JoDöden is a project you really need “feel” in order to really appreciate his music. (Alain González Artola)

(Nordvis Produktions - 2017)
Score: 50

Void Generator - Prodromi

#PER CHI AMA: Psych/Stoner/Krautrock
I prodromi sono delle avvisaglie, dei fenomeni che costituiscono un segno premonitore; mi piace come parola e la trovo azzeccatissima per essere il titolo della quarta fatica dei Void Generator, band nostrana che conferma il buon stato di forma della scena psych-stoner italica e che verosimilmente preannuncia la crescita esponenziale di un movimento musicale sempre più in fermento nel nostro paese. Il disco include quattro song monumentali, di cui solo la prima non sfiora il quarto d'ora, ma si assesta su un più umano sette minuti di durata, il cui sound anticipa il carattere quasi da jam session di questo 'Prodromi'. La song in apertura, "40 Kiloparsecs", mostra immediatamente il carattere cosmico psichedelico del disco, con suoni che sembrano provenire dallo spazio profondo e una musica che potrebbe essere l'ideale colonna sonora per un viaggio intergalattico, con i suoi riverberi, i rumori e le voci rarefatte in sottofondo, ove pulsano anche un basso propulsivo e un drumming serrato, pronti a fiondarci nell'iperspazio. Cosi si entra in quello spazio avente un numero di dimensioni geometriche superiore a tre, perdendo i sensi in "Sleeping Waves", un brano che ci culla nella spedizione interstellare attraverso un wormhole che ci porta in quadranti diversi della nostra Galassia a saggiare suoni e colori di mondi alieni e sconosciuti, che fatichiamo probabilmente a comprendere, ma che evocano vibrazioni, sentori, pulsazioni, elucubrazioni, sperimentazioni che in passato sulla Terra, hanno appartenuto a band come Pink Floyd o alle improvvisazioni cosmico-minimaliste dei Tangerine Dream. Difficile spiegarvi come il disco dei Void Generator riesca ad evolvere nelle successive song, se non sono ben chiare nella vostra mente le origini di un genere, etichettato semplicisticamente come space-krautrock. Dovete aprire le vostre menti, prepararvi ad un incontro con suoni non convenzionali, perché raggiunto l'altro capo della Galassia, sarà impossibile far ritorno sulla Terra, a meno che non si entri in un tesseract, ove modificare il tempo e lo spazio per tornare a ritroso attraverso il tunnel spaziale, sperimentando la ridondanza di suoni che martellano il cervello e ci spingono fino all'ultimo baluardo da superare prima del collasso definitivo all'interno del buco nero generato dal suono dei Void Generator. Tutto più chiaro ora? Se non lo fosse, cosi come credo, sappiate che le elucubrazioni di questa recensione, sono il frutto dell'ascolto ad elevato volume di questo lisergico disco; provare per credere. (Francesco Scarci)

(Phonosphera Records - 2017)
Voto: 85

mercoledì 22 novembre 2017

Echolot - Volva

#PER CHI AMA: Psych/Stoner
Gli Echolot sono un trio stoner/psychedelic rock nato a Basilea nel 2014 e già al secondo album, 'Volva' appunto, prodotto dalla label Czar Of Revelations. L'artwork mostra una grafica molto accattivante che racchiude un profondo significato, alla base dell'album stesso. Come gli stessi Echolot hanno dichiarato qualche tempo fa durante un'intervista, 'Volva' in latino significa conchiglia o involucro. I testi dell'album e la musica stessa affrontano questo concetto a livello sociale, dove l'uomo ha sviluppano una propria corazza che si adatta per interagire con gli altri, ma allo stesso tempo è alla ricerca di un'indipendenza da essa per evolvere e crescere indipendentemente da questo guscio. Tutto questo è rappresentato dalla copertina dell'album appunto, dove il piede del scarafaggio acquatico Dytiscus è stato fotografato tramite un microscopio a scansione laser per mostrare le ventose che gli permettono di camminare sott'acqua. Un esempio di come il nostro guscio sia uno strumento importante per interagire con il mondo. Dopo questa divagazione scientifica, che comunque ci introduce accuratamente nel mondo degli Echolot, cominciamo a parlare della loro musica. I brani sono quattro e prima ancora di insorgere e gettare nelle fiamme questo 'Volva' classificandolo come EP, vi informo che in media essi durano tredici minuti, quindi prendiamo un profondo respiro ed lasciamoci trasportare dalla musica dei nostri. Le atmosfere dilatate sono forgiate dalla classica formazione rock, ovvero chitarra-basso-batteria con alcuni excursus vocali. I suoni sono prettamente vintage, usciti direttamente dai '70s con chitarre distorte ricche di fuzz e un caldo velo analogico che avvolge il tutto. "II" ci catapulta direttamente in uno spazio-tempo informe, dove riff di chitarra riecheggiano lontani, il basso pulsa come una battito ancestrale e la batteria sostiene la trama e la sua evoluzione strutturale. La voce ricorda antichi canti sepolti dall'incedere del tempo, ma che riemergono potenti quando stimolano il nostro subconscio primitivo e pagano. La band riesce ad alternare sapientemente passaggi doom e psichedelici, come in "III", un vero e proprio percorso sensoriale che appaga l'ascoltatore guidandolo in una progressione che passa dalla calma iniziale all'esplosione della parte centrale. Tutto sembra condotto dalla chitarra e dai suoi riff, in realtà la struttura è più complessa, non mancano sezioni drone/ambient come l'inizio di "V", dove suoni indefiniti accompagnano la sezione ritmica. In seguito trovano spazio anche alcuni inserimenti noise concepiti da chissà quale sintetizzatore o simili. Colour Haze, Mars Red Sky e Samsara Blues Experiment sono le prime somiglianze che mi vengono in mente pensando a gruppi attuali, ma basta guardare un po' più indietro per sentire Hawkwind, Pink Floyd e Black Sabbath. Un trip classico, sicuramente niente di nuovo sul fronte svizzero, ma cavolo, questi ragazzi ci sanno fare veramente. Un album ricco di atmosfera, musicalità e solidi arrangiamenti, che non ci fan rimpiangere di esserci persi i veri anni '70s, tanto ci sono band valide come gli Echolot che ce li fanno rivivere oggi. (Michele Montanari)

(Czar of Revelations - 2017)
Voto: 75

https://darkseacreature.bandcamp.com/album/volva

Profetus - Coronation of the Black Sun/Saturnine

BACK IN TIME:
#FOR FANS OF: Funeral Doom, Ahab
This was Profetus’ debut, originally released on April 29th, 2009, back then — and still now — is a masterpiece and a lesson in funeral doom metal. This re-release and limited edition includes the band’s debut and their first and only demo 'Saturnine'. Altogether make over 90 minutes of decaying and devastating anthems. An astonishing colossus of a record, where the album and the demo are two different entities that can be listened separately.

'Coronation of the Black Sun' is dark as the chasm, mystical music for a ritual of death, where there is no room for hope or light, and the cover artwork epitomizes this feeling superbly. As your eyes set in the artwork, you know this is something obscure and serious.

Funeral doom metal is a complex and difficult genre that challenges the listener and demands patience, and sometimes, very skilled bands reward patience with towering riffs and mythical passages. This is the case with Profetus debut. Unpretentious but confident guitar riffs take the lead, powerful chords make ambiance and the keyboard work creates a melody and an atmosphere so dominant that evokes the feeling of a black cathedral lost in the limbo.

A particular talent is needed to create gigantic anthems in length and keep your listening interested and heedful to the music, no easy task for sure, both to keep a pace and to be aware of your tempo as a musician. This is why funeral doom metal is so respected even though when is humbler than other genres and styles.

"Eye of Phosphoros" is the supreme song of the album. From the very beginning, the deep abyssal growls take you to the darkest of your thoughts, almost as ritualistic music, as a desolated landscape of doom and dark draws in the mind. It is monotonous and hypnotizing. Makinen’s vocals are really fitting to the music; the keyboards emulate a pipe organ adding a funerary aspect to the song. And the last 5 minutes… When the pipe organ strikes at the end of the song, is like something terrible, dismal and tragic has happened. The beauty of the last five minutes of the song is outstanding and once it hits you, it will keep inside you; female chants join as they were angels claiming for a lost soul. In funeral doom metal standards, this ending is perfection.

“Coalescence of Ashen Wings” is as gloomy as the previous one, but shorter. The highlight of this song is the atmosphere the melancholic guitars create as it is a more repetitive song, lacking an exceptional change of rhythm, although it has this passage where the guitars take control and deliver a sullen melody of doom, along with some heavy riffs and percussion work.

The last and catchiest song is “Blood of Saturn”, which is another masterpiece. This song, in particular, has a faster rhythm than previous ones, and it proposes a mournful melody from the very start, a melody that will take leadership throughout several moments of the song. In the second third of the song, we get a sudden change of pace that leaves the drums in the spotlight, reminding me a little of the funeral doom metal band Ahab. After this passage, we get back to the main musical theme, and we will have a moment of reflection minutes after, just to sink in the deepest of our thoughts as the song slowly dies.

'Coronation of the Black Sun' is a rock solid magnum opus of the funeral doom metal genre, but as this edition includes also the 'Saturnine' demo, I found something annoying, even though is just a little thing but it bothered me, and this is that in the demo the sound is stronger and heavier. Don’t get me wrong, it is not better, the main album is fine mixed and well mastered, but the demo sounds more aggressive and powerful, the drums are so authoritative that it sounds more proper to the music. 'Saturnine' has this claustrophobic sound that reminded me again of Ahab’s debut 'The Call of the Wretched Sea', and I think that this strength in the drums would have been perfect for 'Coronation of the Black Sun'. Musically, it is far from what they became and achieved, though. In conclusion, this is an album for posterity that will be revisited for years to come. (Alejandro "Morgoth" Valenzuela)

martedì 21 novembre 2017

Délétère - Les Heures de la Peste

#FOR FANS OF: Black, Forteresse, Csejthe
Rumbling, somehow awkward sounding guitars characterize the production of Délétère's first full-length, dated 2015. This is a sound one has to get used to. The massive and more or less lumpy mix contradicts the actually fine leads and melodies. This is not as bad as it sounds, because this kind of inner conflict gives "Les Heures de la Peste" a certain individuality. By contrast, the hoarse and baleful voice does not provide a special contribution. Sometimes icy, passionate screams appear that build a bridge to the most extrovert Scandinavian black metal singers. But this is not as bad as it sounds, too. To close this chapter, the production is not outstanding, but okay.

What about the musical content? Délétère originates from Quebec and they fulfil every expectation in terms of style. At least the fast sections of the duo's compositions lie in close proximity to the songs of their neighbours. I am speaking of Forteresse, Csejthe and comparable bands from the constantly boiling Canadian metropolis. One could also mention Sanctuaire if one leaves their ambient pieces out of consideration. But wait, the here reviewed work also houses some ambient elements. However, do not think of endless keyboard lines that wander alone through the barren prairie. Songs like "Aux Thaumaturges Égarés, une Étoil Nécrosée" create a desperate, sinister atmosphere without neglecting the metallic fundament. Lonely guitars deliver the soundtrack to a sad scenario while darkness falls over the land, but they are mostly accompanied by the infernally echoing lead vocals and the reliable rhythm section. By the way, this piece with a duration of more than seven minutes shines with its compositional coherence - and this coherence is no exception, but the standard. The dudes mostly deliver intelligently constructed tunes and this is not a matter of course when it comes to a debut work with eight songs that clock in after 48 minutes.

The album - which is equipped with a stylish booklet - generates a very uncomfortabe feeling due to its strict leads and the painful yelling. The ecclesiastical choirs at the end of "Une Charogne Couronnée de Fumier" also create ambivalent emotions, to say the least. It is amazing to see that both sides of the band work very well. The raging outbursts and the atmospheric sections complement each other in a good manner. "Credo II" is the prime example. Its Forteresse-like high velocity parts shine with fascinating leads and pure vehemence, while the gloomy yet extremely heavy episode which sets in at 2:40 minutes delivers the perfect supplement. No doubt, it seems as if Quebec has become a guarantor for high class black metal with an unmistakable flavour. To cut a long story short, if one likes cascades of guitar lines, fervent vocals and a high degree of dedication, "Les Heures de la Peste" has a good chance of becoming his or her album of the month. Great songs like "Le Lait de l'Essaim" are not ten a penny. Indeed, the mostly fantastic compositions let me forget the slightly dubious production. Honesty speaking, I want to hear more of Délétère. (Felix 1666)
 
(Sepulchral Productions - 2015)

lunedì 20 novembre 2017

Three Eyes Left - The Cult of Astaroth

#PER CHI AMA: Doom/Psych/Sludge
Siamo in un cimitero di provincia in pieno medioevo, in una fredda notte d’inverno. Il velo che separa la vita e la morte è stato squarciato e un druido sta evocando un potente demone del mondo antico di nome Astaroth, principe degli inferi e braccio destro di Satana. Il freddo penetra nelle ossa, c’è odore di polvere, terra bagnata e fumo da combustione. È questo lo scenario in cui la musica di 'The Cult of Astaroth' ci catapulta senza troppi giri di parole, supportata egregiamente dall’artwork di Luca Solomacello. Si tratta del secondo album dei bolognesi Three Eyes Left edito per Argonauta Records, un concentrato di doom, psych e sludge, influenze che si fondono in un vortice di oscurità che trasuda esoterismo e magia nera. La prima traccia “Sons of Aries” apre con un leggero arpeggio di chitarra acustica particolarmente adatto ad accompagnare una seduta di meditazione che si riversa poi in un tetro ambiente cimiteriale dove solo una voce femminile ci guida tra le tombe diroccate e tra gli intricati sentieri illuminati fiocamente dalla fiamma di alcune candele che resistono al vento freddo della notte senza mai spegnersi. L'incantesimo però viene subito turbato da una cascata di valvole saturate che declamano pesanti riff doom sovrastati da quella che sembra la voce di Ozzy, tanto somigliante da chiedermi se effettivamente non stia ascoltando i Black Sabbath. Il viaggio continua con “You Suffer...I, The Evil Dead”: dopo un’evocativa apertura degna dei migliori film horror con un traballante carillon, inaspettatamente compaiono i primi attacchi di growl a contrasto con la sensazione di proto-doom che il disco nella sua interezza porta con sé. Personalmente è il mio pezzo preferito, racchiude l’essenza profonda del lavoro ed è costellato di accorgimenti sonori interessanti come l’utilizzo di metriche particolari (il tema principale si sviluppa su 10 quarti), la presenza di assoli allucinatori e gli spiccati connotati ancestrali ed esoterici della voce. Si tratta evidentemente di un rituale, una serie di formule che se ripetute nella giusta sequenza, possono portare energie che abitano altri mondi in visita nel nostro. Ripensandoci questo potrebbe facilmente essere il rituale che il druido in copertina sta celebrando per riportare in vita gli antichi demoni che andranno a riprendersi ciò che gli spetta dal mondo dei vivi. Il disco prosegue imperterrito navigando tra profondi mari sconosciuti, cieli in tempesta eterna e distese di terra spoglia a perdita d’occhio. Il viaggio non è privo di ostacoli, non è facile infatti rimanere agganciati ad un percorso di quasi 70 minuti, gli oscuri anatemi sepolcrali dei Three Eyes Left continuano a fluire nelle casse creando una coltre di tenebra spessa e densa tanto da oscurare il cimitero in cui mi immaginavo di passeggiare. Nel momento in cui arrivo all’agghiacciante chiusura “.. And Then God Will Die..” (ho avuto un brivido lungo la schiena solamente a scrivere il titolo di questo pezzo), l’oscurità ha preso il sopravvento, non vedo niente che possa essere umanamente distinguibile, rimane solo la sensazione di essere sospeso in un limbo infinito dove il corpo non esiste più e lo spirito è libero di vagare nei più neri anfratti dell’ignoto. (Matteo Baldi)

(Argonauta Records - 2017)
Voto: 75

https://threeeyesleft.bandcamp.com/