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giovedì 6 luglio 2017

Krowos - Verbum Luciferi

#PER CHI AMA: Black, primi Rotting Christ
Secondo album per i blacksters siciliani Krowos, dopo il debut 'Enthroning Our End', ormai datato 2013. Certo, i catanesi non sono rimasti con le mani in mano in tutto questo tempo e dopo aver fatto uscire tre split album, tornano con questo inno di estremismo sonoro edito dalla Nigredo Records, intitolato 'Verbum Luciferi'. Cosa aspettarsi? Credo che la proposta musicale sia insita nel titolo dell'album, black metal è chiaro. Tuttavia non etichetterei cosi facilmente la proposta del quintetto siculo, in quanto nelle linee melodiche della title track, nonché opener del disco, si celano influenze tipicamente mediterranee che si traducono in cori epici e assai melodici che sparigliano le carte e le idee che mi ero inizialmente fatto dei nostri. Chiaro che l'approccio è quello tipico del black, cosi come certificato anche dalla seconda "Infamia in Excelsis", un attacco frontale ferale e senza pietà sferrato da perfidi adoratori di Satana, che tuttavia stupiscono per quei break acustici o quel cantato pulito che si colloca tra i diabolici vocalizzi in screaming di Tsade e che contribuiscono nel donare un che di esoterico al lavoro in sé. Un riffing sghembo apre "Vangelo", che vede un contrasto a livello vocale tra la voce efferata del frontman e un cantato più liturgico e celebrativo, in quello che sembra essere più un sinistro rituale esoterico. Il caos torna sovrano nelle arrembanti ritmiche di "Malignus": fortunatamente il cantato corale smorza le tensioni generate dalle violente ritmiche dei nostri che senza i frangenti più melodici, finirebbero per essere una delle tante inutili band estreme che popolano un underground sempre più saturo. Eppure, i Krowos hanno trovato una formula che a me piace parecchio e che trova forme primigenie nei primissimi In Tormentata Quiete, negli Inchiuvatu, citando anche gli albori degli Ecnephias e spostandoci un po' più in là, nei primi Rotting Christ, Varathron e altre realtà della scena estrema ellenica. Convincenti, devo ammetterlo, mescolare il black più ferale e caustico, con le melodie della scena mediterranea, il doom ("Credo") e una certa coralità assai evocativa, non è mai cosa semplice. L'ultima tappa di questo verbo di Lucifero è affidata a "Offertorio", ultimo tributo dei Krowos al signore della luce, attraverso ottime melodie, un egregio lavoro al basso, e gli immancabili cori, vero punto di forza di 'Verbum Luciferi', album che mostra sicuramente l'irriverente personalità della band siciliana che, lavorando sodo ed eliminando qualche asperità dal proprio sound, potrebbe anche raggiungere vette insperate di notorietà. (Francesco Scarci)

(Nigredo Records - 2017)
Voto: 75

https://www.facebook.com/KrowosTSHOBM

mercoledì 5 luglio 2017

A Total Wall - Delivery

#PER CHI AMA: Djent/Math, Meshuggah
Dopo tre EP all'attivo, era giusto che arrivasse anche il debutto sulla lunga distanza dei milanesi A Total Wall. È uscito cosi 'Delivery', lavoro che assegna l'ostico compito ai nostri di rispondere ai gods mondiali nell'ambito del djent, con quel suono caratterizzato dall'ampio uso delle poliritmie, per intenderci in stile Meshuggah e chitarre downtuned. Fatta una breve cronistoria di un genere che ha avuto la sua esplosione nel biennio 2010-2012 e che poi si è un po' ridimensionato, veniamo alla band di oggi, gli A Total Wall appunto, un muro totale come quello innalzato dalle chitarre a nove corde dell'axe man Umberto Chiroli. Per capirci ulteriormente su cosa aspettarsi sparato nei nostri timpani, immaginante il rifferama pesante e sincopato dei Meshuggah, contrappuntato da un dualismo vocale fra un growling schizofrenico e un pulito a tratti poco convincente. Le linee di chitarra della opener "Reproaching Methodologies" non solo risentono dell'influenza dei master svedesi, ma mi pare di scorgere anche palesi influenze math, in un sound decisamente nevrotico e claustrofobico. Attenzione a non aspettarvi una musicalità comparabile a quella dei Tesseract, molto più accessibili e melodici, gli A Total Wall in "Evolve" sapranno come farvi sbiellare il cervello con il loro rifferama contorto e nervoso, ma pur sempre carico di groove. Non male la sezione solistica anche se troppo ermetica e breve nei suoi lisergici stacchi visionari che ne rendono ostico l'approccio. I toni si fanno più scuri nella terza "Sudden", ma è prettamente una questione legata all'atmosfera che si respira durante il suo ascolto, curata dai synth di Davide Bertolini, anche se la ritmica qui è decisamente più controllata e i nostri cercano qualche effetto addizionale per cercare di non risultare troppo didattici nel loro assalto sonoro; utile a tal proposito un paio di break ambientali nel corso del brano. Il riffing magmatico, ossessivo e tipicamente meshugghiano torna in "Maintenance" che verrà ricordata dai posteri più che altro per la stonatura del vocalist nella sua versione pulita. Passo avanti e mi faccio investire dalla feroce "Lossy", che mantiene intatta l'architettura sonica dei nostri (attenzione ad abusarne eccessivamente), cercando di mitigarne la prolissità ritmica nuovamente con l'utilizzo dei synth, rallentamenti vari ed un break davvero indovinato a metà brano (questa si che è la strada giusta). Ottima sicuramente la performance dei singoli, per cui sottolineerei il lavoro al basso di Riccardo Maffioli. Nel frattempo si giunge a "The Right Question" e a delle ambientazioni nuovamente oscure e rarefatte che preludono ad una ripartenza schizoide cosi come era stato per la opening track. Il vocalist qui sperimenta un cantato cibernetico che i Cynic proposero nel lontano 1991 nel loro inarrivabile 'Focus'. La title track si muove su saliscendi ritmici, in un'alternanza tra repentini cambi di tempo e di voce, qui proposta in una nuova veste. Brillante il break jazzato che ci porta per qualche secondo (troppo poco) in un jazz club di New Orleans. Il disco si chiude con "Pure Brand", ultima traccia di un disco decisamente non facile da affrontare, a causa di una monoliticità di fondo di un genere non propriamente adatto a tutti i palati. Buon inizio comunque, ora è necessario trovare variazioni adeguate al tema, per non scadere nella riproposizione di quanto fatto dai maestri. (Francesco Scarci)

martedì 4 luglio 2017

Antigone Project – Stellar Machine

#PER CHI AMA: Electro/Space Rock, New Order, Depeche Mode, The Mars Volta
La Dooweet Agency ci presenta il nuovo lavoro degli Antigone Project, uscito a maggio di questo caldo 2017. La band parigina, contraddistinta da una spiccata personalità e da idee variegate, giunge al secondo full length dopo una prima prova che si era rivelata già convincente e coinvolgente. Il mix di elettronica e rock presentato dalla band, rappresenta una formula vincente nonostante le evidenti influenze, echi compositivi che sfiorano i confini sonori di band blasonate come New Order, Depeche Mode, The Music, IQ, Antimatter e parte della musica elettronica/industriale alternativa di casa Project Pitchfork e Skinny Puppy. Devo ammettere con gioia che, nonostante la marcata venerazione per queste band, il cd risulta veramente efficace e comunque suona originale e fruibile all'ascolto. "Poison" apre le danze e mi sembra di rivivere il mito del primo album dei The Music, con una superba voce dalle doti eccelse. "Schizopolis" trasuda EBM da tutti i pori e proietta la band in un atmosfera sintetica alla Gary Numan. "III" è una ballata sulfurea giocata tra synth wave ed etereo dream pop. In realtà, l'album è assai vario, caratterizzato com'è da un suono assai compresso e sintetico, anche quando si parla di rock, o di indie trafitto dalla tecnologia, di un pop lacerato dall'elettronica più trasversale, rumorosa e shoegaze come si sente in "Mantra Nebulae". I puristi del suono castigheranno quest'album per la sua sonorità inusuale (che resta comunque una caratteristica fondamentale della band) centrifugata in un low-fi sotterraneo ed astratto. Cosa che al contrario, affascinerà gli ascoltatori più aperti che gioiranno sulle note di "Raphe Nuclei", così immensa nel suo ricordare i giorni più malinconici dei migliori Radiohead. Robotici, glamour, violenti, acidi e danzerecci, gli Antigone Project rivendicano un posto al sole in una fascia di mercato dove pochi osano confrontarsi, proponendo la loro formula originale di musica controcorrente, appassionata e trasversale. Una band geniale che coniuga rock ed elettronica con la stessa affinità progressiva che ha contraddistinto band come i The Mars Volta, grazie a composizioni sonore che meritano grande rispetto, una voce da brivido (eccezionale a tal proposito Frédéric Benmussa) che cavalca tutti i brani dell'album con una maestria tale da far impallidire chiunque, una rivelazione assoluta che con una produzione mainstream rischierebbe di svettare sopra ogni tipo di classifica alternativa mondiale. Perla assoluta. (Bob Stoner)

lunedì 3 luglio 2017

Dirt – Daysleeper

#PER CHI AMA: Crust/Mathcore
Un digipack piuttosto essenziale e “materico” accompagna il cd di questi Dirt, band canadese che di primo acchito non fornisce indizi di sorta sul proprio messaggio musicale. Copertina essenziale, font discreto e nessun rimando grafico a qualsivoglia genere / ambito musicale, fanno da cornice alla proposta musicale della band. Mi appresto quindi ad intraprendere l’ascolto di questo album senza un’idea ben che minima di cosa mi aspetti. L’intro passa liscia all’orecchio, non particolarmente malinconica, né lugubre, né bizzarra...e si passa così al vero e proprio contenuto dell’opera. Bam! entrata a piè pari sui timpani del malcapitato ascoltatore! Appare subito evidente il range, la categoria a cui la band appartiene. Si tratta di una miscela di crust e mathcore, o almeno fa figo oggi giorno chiamarlo così. Stiamo parlando di quel thrash tecnicissimo, iperviolento e freddo, portato in auge nel cuore degli anni '90 dai Meshuggah con quel capolavoro di 'Destroy Erase Improve'. I Dirt denotano una pregevole perizia tecnica, una padronanza degli strumenti innegabile e possono senza dubbio piacere a tutti gli amanti del genere. Io ho ascoltato il cd ripetutamente, lasciandomi pervadere dalla glacialità industriale della loro musica, e cercando nell’album quel “quid” che mi potesse emozionare o rimandare quantomeno a qualcosa di intimo. Ebbene, duole ammetterlo, questo “quid” non è mai giunto. Al di là della parossistica ossessività e del furore post-umano non ho purtroppo trovato alcunché degno di menzione. Ritmiche sghembe, tempi dispari ( mi raccomando eh, MAI e dico MAI un tempo pari adatto ad un sano headbanging!!!) e urla lancinanti procedono senza soluzione di continuità per l’interezza delle tracce presenti. Davvero il cd risulta monocromatico e stantio, sterile e sordo ad ogni coinvolgimento lirico o esistenziale. Agli amanti dei tecnicismi, del freddo mathcore e del heavy-listening questo album potrà anche piacere, la preparazione tecnica dei Dirt è fuori discussione. Per qualcosa di più profondo, coinvolgente ed emotivo...next please! (HeinricH Della Mora)

domenica 2 luglio 2017

Yugal – Chaos and Harmony

#PER CHI AMA: Thrash/Deathcore
Hanno cercato il salto di qualità necessario per farsi notare e ci sono riusciti. La band bretone degli Yugal, sotto le ali protettrici della Dooweet Records e dopo un paio di buoni EP, arriva finalmente al full length in ottima stato di forma, affilando le armi in maniera più che perfetta e aggiustando la mira sul sound ricercato. La scrittura dei brani non varia molto dai precedenti lavori ma qui s'intensificano le belle parti acustiche usate spesso per tagliare l'aria opprimente di un pesantissimo metal dai tratti moderni e di matrice thrash. Il risultato è un convincente miscuglio di chiaroscuri musicali, ben calibrato e progettato a dovere. Un ordigno sonoro carico e pronto ad esplodere, dove le capacità tecniche della band si sentono ma non si sporgono mai ad inutili manierismi virtuosi e dove l'equilibrio tra esotica, mistica, melodia etnica medioorientale e metal estremo è sempre dietro l'angolo, come in "From This Day I Will Rise" che potrebbe essere imparentata con i Sepultura di un tempo rivisitati da un'angolatura etnica diversa, oppure gli Orphaned Land rivisti in salsa e violenza che collima col thrash dei Testament. Il suono di 'Chaos and Harmony' si snoda nervoso e frastagliato lungo l'intero cd, pieno di cambi di direzione e atmosfere pesanti e violente, sfoggiando una batteria stellare e composizioni ricche di particolari venature in territori sonori tutti da scoprire. Dieci brani per qualcosa in più di una mezz'ora di musica compatta ed intelligente, per farci innamorare di una band matura e preparata. L'artwork suggestivo è degno di nota, cosi in perfetta sintonia con la musica della band. Alla conclusiva title track va poi tutta la mia ammirazione per gusto, sensibilità, potenza e aggressività. Yugal, una band sicuramente da tener d'occhio! L'ascolto consigliatissimo! (Bob Stoner)

Afraid of Destiny - Agony

#PER CHI AMA: Depressive Black, primi Katatonia
A marzo lo avevo annunciato che il nuovo album degli Afraid of Destiny sarebbe uscito quest'anno, d'altro canto ce l'aveva confermato lo stesso frontman Adimere durante un'intervista con la band. Eccoci quindi accontentati, 'Agony' è il secondo disco per la band trevigiana, che nel frattempo sembra aver abbandonato il suo status di one man band per divenire un trio. Il processo di stesura dei brani è durato parecchio, se pensate solo che le canzoni sono state scritte tra il 2013 e il 2014 e le voci sono state registrate successivamente, a cavallo tra 2016 e 2017. Insomma tante riflessioni hanno portato a questo nuovo esempio di black depressive, che riprende là dove aveva lasciato con un sound desolante di scuola burzumiana. Quello che balza però subito all'orecchio durante l'ascolto di "A Journey into Nothingness (Part 1)", è un maggior lavoro a livello di arrangiamenti, con il sound molto meno secco e stringato che in passato, sebbene anche qui la produzione si confermi non propriamente bombastica. Le ritmiche sono lente e compassate e lo screaming del frontman è probabilmente la cosa più degna di nota della prima song (esclusa la lunga intro) a cui è collegata la seconda parte, ancor più lenta, carica d'atmosfera e che chiama in causa in un paio di frangenti un che dei Katatonia di 'Dance of December Souls' e dei Novembre di 'Wish I Could Dream it Again...'. La musica è rilassata, decadente, atmosferica e nell'arpeggio iniziale di "Rain, Scars, and the Climb', rievoca nuovamente la band capitolina e non posso che esserne felice, in parecchi si sono dimenticati infatti da dove arrivano Carmelo Orlando e soci. Le linee di chitarra sono malinconiche e nel loro semplice incedere, nascondono una vitalità inaspettata che emerge come lo sbocciare di un fiore in primavera, il tutto dopo un atmosferico break centrale. La musica mi piace, è interessante, carica di significati e induce a pensieri, belli o brutti che siano. È riflessione, poesia, dramma, pace e un'altra moltitudine di sensazioni che si spengono solo con il suono del temporale in sottofondo e che introduce a "Autumn Equinox", song più minimalista ma che vede una guest star alla voce, A. Krieg, vocalist teutonico tra gli altri di Eternity, Darkmoon Warrior e ora anche dei Lugubre. È una song che vede peraltro per la prima volta nel disco, un'accelerazione post black, che comunque trova il suo perché nel contesto disperato del disco. "Hatred Towards Myself" compariva già nel precedente EP omonimo come traccia oscura e paranoica, e forse è quella che ora ha meno a che fare con le rimanenti tracce incluse in quest'album; resta comunque apprezzabile. C'è ancora tempo di ascoltare "Into the Darkness", song dall'approccio vocale iniziale un po' più diverso, ma di cui va apprezzata sicuramente una coralità a livello vocale e di cui sottolineerei ancora una volta il buon lavoro fatto a livello di arrangiamenti, con il sound decisamente più pieno. C'è ancora ampio margine di manovra per migliorare sia chiaro, vista peraltro la presenza di un bell'assolo nella traccia che conferma una maggiore maturità acquisita dall'ensemble veneto. A chiudere il disco ci pensa la cover dei Lifelover, "Sweet Illness of Mine": gli va male agli Afraid of Destiny, visto che non sono mai stato un fan dell'act svedese. Tuttavia, devo ammettere che il brano si mantiene piuttosto fedele all'originale soprattutto per le vocals pulite, mentre non mi fa impazzire la batteria, qui troppo sintetica. Insomma, un gradito ritorno per la compagine di Treviso che è sulla strada giusta per trovare ed affermare la propria personalità e che nel frattempo ha anche avuto modo di piazzare una ghost track finale in acustico, tutta da gustare. (Francesco Scarci)

(Razed Soul Productions - 2017)
Voto: 70

https://afraidofdestiny.bandcamp.com/album/agony-2

HgM ‎– Sintered Chrome

#PER CHI AMA: Noise/Ambient
Ambient/noise per questa one man band italiana, facente parte della squadra di musicisti estremi e terroristi sonori DIY, che sfilano per la gloriosa Human Cross Records, etichetta bosniaca. L'enigmatico musicista che si cela dietro all'acronimo HgM (in realtà (H)organismo. (G)ravemente. (M)alato), è in realtà Massimiliano Mercurio, che in passato è stato recensore per due importanti webzine. Il mastermind torinese in questo malato 'Sintered Chrome' si esprime in un monolitico attacco sonoro di oltre trenta minuti dai tratti omogenei e dalla voglia di sconvolgere e intorpidire i pensieri degli ascoltatori. Ambient siderurgico e industriale senza la benché minima sorta di percussione, figlio di un connubio tra onde marine scagliate verso di uno scoglio, sentore cosmico ed il rumore odioso di una fabbrica metallurgica udita dall'esterno ed in lontananza. Una continua diramazione dello stesso tema/rumore/ambiente sonoro fa nascere questa suite che per certi aspetti affascina e ammalia con la sua incessante ed oppressiva ripetitività, dall'altra fa nascere il desiderio più acuto di fuggire lontano da tutto ciò che potrebbe essere espresso in questa musica torturatrice se messa in parallelo alle prigioni del nostro essere. In questa mezz'ora o poco più, rischierete di vedervi crollare il mondo addosso, imprecare, riflettere e alla fine impazzire senza nemmeno darvene un motivo. Tutta quest'opera rasenta la follia ma si apre alla geniale ispirazione artistica tout court. L'unica nota negativa va ad un artwork che non dà il giusto supporto al calibro dell'opera, un vero peccato. 'Sintered Chrome': un lavoro esclusivo in sole 30 copie per misantropi intellettuali, rumorosi ed illuminati. (Bob Stoner)

(Human Cross Records - 2017)
Voto: 70

https://hgmmusic.bandcamp.com/track/sintered-chrome

Dead Season - Prophecies

#PER CHI AMA: Thrash/Progressive, Nevermore, Anacrusis
Francia, tanto per cambiare. Questa volta però non siamo al cospetto di una qualche band di black metal avanguardista, visto che i Dead Season propongono un concentrato sonoro che volge il proprio sguardo ad un thrash sicuramente robusto ma dai tratti progressivi. Questo è certificato dall'iniziale "The New Man", apripista del secondo album 'Prophecies'. L'approccio del quintetto di Lille evidenzia immediatamente quanto i nostri siano potenti musicalmente, innalzando un muro sonoro enorme, allo stesso tempo rivelando di essere dotati di una certa vena prog. Da un punto di vista vocale poi c'è un'alternanza tra cantato growl, scream ed uno pulito di "arcturiana" memoria. A livello ritmico, oltre a quello dei chitarroni, è notevole anche il lavoro del bassista e del fantasioso apporto del drummer. Mi aspettavo qualcosa da un punto di vista solistico, ma qui non è pervenuto. I riffoni di "Blood Links Alienations" ci introducono ad una canzone di per sé oscura, che evidenzia ottime melodie di fondo con un lavoro in background delle chitarre davvero maestoso, che tra cambi di tempo, ceselli vari, stop'n go, il tutto viene poi esaltato dalla performance vocale del carismatico leader, a rendere la proposta di questi cinque musicisti, di assoluto valore. Se devo trovare qualche punto di contatto della band transalpina con altre in giro per il mondo, i primi nomi che mi vengono sono sicuramente i Nevermore e gli Anacrusis. Mi lamentavo di una penuria di assoli, ma l'attacco di "Prohibition of God" non può che rendermi felice: i nostri danno infatti prova di come si possa coniugare thrash metal con sonorità alternative, con echi di Faith No More e Korn che si combinano con un rifferama a tratti devastante, ed un finale affidato al ruggito delle chitarre e ad un poliedrico cantato che nello stesso frangente, utilizza growl, scream e clean vocals. Dirompenti, non c'è che dire, anche in versione più dark, come nella successiva più compassata "Homogenetic", una traccia che sembra evolvere verso lidi math con ritmiche schizofreniche e pattern jazzati inseriti in un contesto death metal. Imprevedibili, ecco un altro aggettivo da aggiungere alla sfilza di complimenti che si potrebbe attribuire al combo transalpino, visto che in un bridge atmosferico di basso, fa capolino anche una voce femminile. Poi i Dead Season ripartono per la tangente con suoni deviatissimi, che innalzano ancora il livello qualitativo di un disco che forse corre il solo rischio di essere un po' troppo lungo e complesso. "Guidestones" è una funambolica traccia che si muove tra speed metal, alienanti rasoiate black/death, progressive e tanto tanto altro. Di carne al fuoco qui ce n'è parecchia, tra l'altro in grado di soddisfare tutti i palati, dai più raffinati e delicati amanti dell'heavy prog, fino ad arrivare ai fan più scatenati di sonorità estreme, il sottoscritto in primis, rimasto letteralmente folgorato dalla proposta dei Dead Season. L'unico problema che vedo è quello di non riuscire forse a completare l'ascolto dei 60 minuti di 'Prophecies' in un'unica botta. La strumentale "The Four Minutes of Hate" intanto corre nel mio lettore e i riferimenti ai Cynic e a tutto il movimento techno metal, si sprecano. Un po' di calma in apertura ad "Endless War", giusto il tempo di acclimatarsi per poi rilanciarsi nei tortuosi giri chitarristici di questi fantastici musicisti, di cui mi preme sottolineare nuovamente la prova dei due funamboli, bassista e batterista. Potrei scrivere ancora a lungo visto che i brani si susseguono a ripetizione e allora mi soffermo solo per segnalarvi un altro paio di brani: la forza arrembante di "Sexual Binging" e la spettrale "Ministry of Truth", assai intrigante nei suoi break acustici di chitarra e basso e nei suoi epici cori. Alla fine 'Prophecies' è un lavoro granitico, complesso, maturo e dinamico, semplicemente eccellente. (Francesco Scarci)

giovedì 29 giugno 2017

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Framheim - Demo 2017

#PER CHI AMA: Black Old School, Burzum
Interessante sapere che il moniker della band di quest'oggi sia anche il nome della base antartica posta dall'esploratore Roald Amundsen sulla Barriera di Ross nel 1911, come punto di partenza per la conquista dell'Antartide. È forse un interesse storico al limite del morboso quindi a portare i nostri a definire il proprio sound quale "Polar Black Metal". Sicuramente, l'approccio musicale proposto dai Framheim è glaciale, testimoniato non solo a livello lirico ma anche da quel vento sferzante che apre "Lu Fredd", opening track in grado di palesare fin da subito le influenze ancestrali della band italica, che ci riconducono direttamente ai primordi del black, quello che vedeva nelle cavalcate soniche di Burzum un prototipo da seguire, con quei contrasti fra un rozzo e minimalista riffing e quelle parti più atmosferiche guidate da un uso massiccio di sintetizzatori, in grado di rendere la proposta in un qualche modo affascinante. I Framheim seguono quel filone, forti di una registrazione casalinga che sprigiona un mood atavico che farà certamente la gioia di coloro che rimpiangono gli anni '90. Heliogabalus e F. imbastiscono la loro architettura sonora in ugual modo anche in "San Giuseppe Due" (il motoveliero italiano della storica spedizione in Antartide), poggiando su delle chitarre in tremolo picking accompagnate da una furente batteria e con le screaming vocals in sottofondo che fanno percepire appena la loro presenza. Riascoltando l'EP, non ho potuto che apprezzare inoltre il tentativo dei nostri di proporre una forma più primitiva del black metal moderno espresso dai Progenie Terrestre Pura, attraverso il loro sound desolante e al contempo atmosferico. Chiaro, con sole due tracce non è cosi semplice fornire un giudizio strutturato, ma per lo meno è sufficiente per farsi un'idea iniziale di quello che sono e forse diverranno i Framheim. (Francesco Scarci)

(Xenoglossy Productions - 2017)
Voto: 65

https://framheimblackmetal.bandcamp.com/releases

mercoledì 28 giugno 2017

Antipathic - Autonomous Mechanical Extermination

#PER CHI AMA: Slam Brutal Death, Osiah
Un tre tracce piuttosto stringato quello dei brutal deathsters italo-americani Antipathic, ensemble che raccoglie la performance di due musicisti provenienti dagli statunitensi Human Repugnance e dai nostrani Zora. Comunque i sei minuti a disposizione del duo formato da Tato e Chris, lascia intravedere ottime sonorità estreme, con gli elementi tipici del genere brutal americano, ma con qualche deviazione al tema. Nella opener ad esempio, "Apparatus", accanto alle ritmiche tiratissime e al classico cantato in pig squeal, i nostri si lasciano andare per alcuni secondi ad un rallentamento da brivido in stile Disembowelment. La registrazione è corposa e bombastica, mentre la ritmica in "Molecular Deviations" assomiglia piuttosto ad una mitragliata affidata ad un M60, dove i proiettili sembrano i vocalizzi isterici del bravo Tato. Ultima è la title track, anche la traccia più lunga, visto che occupa metà tempo dell'EP: l'inizio raccoglie rumori di battaglia, poi si scatena il riffing vetriolico, a sprazzi molto ritmato con la timbrica maialesca del frontman a completare la prima battaglia targata Antipathic. Da monitorare. (Francesco Scarci)

martedì 27 giugno 2017

Left Sun - S/t

#PER CHI AMA: Prog Rock, A Perfect Circle, Porcupine Tree
I Left Sun hanno debuttato per la Ethereal Sound Works con il loro disco omonimo nel 2016, anche se il loro self-titled non rappresenta però il debutto assoluto per il cantante/chitarrista portoghese Flavio da Silva, già sulla scena progressive metal con il suo precedente progetto Oblique Rain. Il disco graficamente si presenta in maniera molto sobria, satinato in nero con il logo bianco della band al centro, all’interno anche il cd è monocromatico, ad eccezione di quella che sembra una mezzaluna grigia che ricorda vagamente le lune degli A Perfect Circle; il booklet infine è anch’esso totalmente nero e reca la scritta “fear is digging deeper”. Una scelta sicuramente studiata ma che, pur conferendo un’aria professionale al disco, penalizza l’immaginario che con una copertina più “parlante”, avrebbe preparato meglio l’ascoltatore alla musica dei nostri, peraltro davvero di ottima caratura. Tuttavia il caption proposto fa pensare. La paura è scavare più a fondo, nulla di più vero, chi oggi ha il coraggio di andare oltre la superficie e tuffarsi nel subconscio più oscuro? Magari proprio i Left Sun. Premiamo play e ci immergiamo nel primo pezzo, "Water Under the Bridge". Un intro di arpeggi sospesi sull’orlo di un buco nero si apre su uno sciabordare di accordi dissonanti che anticipano una strofa che richiama il suono di un vecchio carillon che offre anch’esso l’effetto di essere sospesi sul bordo di una cascata, “all things pass” dice la voce di Flavio, a richiamare il titolo del brano e a ricordarci che la vita è troppo corta per non lasciar andare. Subito dopo la voce s'inerpica su un ritornello decisamente aggressivo e grattato senza mai sfociare su suoni troppo disperati, rimanendo sobrio ma perentorio e deciso. Il pezzo prosegue con mille e una ambientazioni che comprendono grossi riff di chitarra e parti strumentali caleidoscopiche. L’intenzione è sicuramente prog, a richiamare lo stile dei Porcupine Tree ma anche le tecniche sonore degli A Perfect Circle, come giustamente suggerito dalla grafica del disco. Ci troviamo davanti ad un lavoro forse più variegato e osato di ciò che siamo abituati a sentire nel prog, si passa da scenografie prettamente "toolliane" a stacchi di assoli che ricordano gli ambienti dei Pink Floyd, fino ad arrivare a stanze arredate con santini della madonna del Guadalupe e che fanno pensare vagamente a ritmi che si sentono in 'Abraxas' di Santana. Il disco in toto è pervaso totalmente di queste sonorità e le canzoni scorrono senza intoppi lasciando una piacevole reminiscenza di musica del passato ma dal sapore nuovo, esotico ed energico. Da notare l’interlude a metà album che contiene vocalizzi, virtuosismi chitarristici e soluzioni ritmiche sospese nel vuoto oltre che interventi di fiati a richiamare ancora una volta i dischi che ci hanno cresciuto, uno su tutti 'The Wall'. In conclusione, questo disco dei Left Sun ci offre uno spettacolare viaggio nell’inconscio, passando attraverso ogni tipo di scenario fantastico e convincendoci ancora una volta, che il rock non è per niente morto, sta benissimo, scalcia, urla e irrompe prepotente nell’anima. (Matteo Baldi)

(Ethereal Sound Works - 2016)
Voto: 75

https://www.facebook.com/LeftSunOfficial/?ref=br_rs

The Pit Tips

Francesco Scarci

White Ward - Futility Report
Kynesis - Pandora
Sorrow Plagues - Homecoming

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Don Anelli

Deathinition - Online
Lectern - Precept of Delator
Marche Funebre - Lebavoid

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Matteo Baldi

Pelican - Australasia
Sumac - What one becomes
Oranssi Pazuzu - Värähtelijä

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Kent

Offthesky & Pleq - A Thousand Fields
Valery Gergiev & London Symphony Orchestra - Prokofiev: The Complete Symphonies
Darkspace - Dark Space I

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Five_Nails

Suffocation - ...of the Dark Light
Canvas Solaris - Sublimation
Nephilim's Howl - Through the Marrow of Human Suffering

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Michele Montanari

Elder - Reflections of a Floating World
Dynatron - The Rigel Axiom
Steak - No God To Save