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sabato 27 agosto 2016

The Walk – Wrong Enemy

#PER CHI AMA: Alternative Rock
I The Walk sono un quartetto di Strasburgo, capitanato dal cantante e chitarrista, nonché autore di tutti i testi, Hervé Andrione, giunto oggi al debutto sulla lunga distanza dopo un paio di interessanti EP che già mettevano in evidenza uno stile piuttosto peculiare e personale, seppur non originalissimo. La musica della band si basa sulla chitarra bluesy (per lo più acustica, a volte slide, spesso distorta) e la voce di Andrione, il cui timbro ricorda a volte quello di Bertrand Cantat dei Noir Desir, cui fa da contraltare Nicolas Beck con il suo tarhu, uno strumento piuttosto raro, una sorta di violoncello inventato dal liutaio australiano Peter Biffin negli anni '80, ispirato dalla tradizione mediorientale ed in particolare al tanbur turco. Il suono dei The Walk si nutre di questo contrasto apparente, esacerbato da una sezione ritmica potente, precisa e di stampo decisamente rock. Quello che ne esce è una musica che trova forti riferimenti in quello che negli anni '90 si sarebbe definito come “alternative”, muovendosi in un ambito che spazia dai già citati Noir Desir (anche se qui si utilizza esclusivamente la lingua inglese) ai Deus, fino a Jeff Buckley, il Ben Harper più roccheggiante e più di una suggestione grunge. Se è vero che i brani più propriamente rock sono piacevolmente grintosi ma difettano forse di un po’ di impatto e personalità, i pezzi più riusciti sono, a mio avviso, quelli in cui si toglie un po’ il piede dal pedale dell’acceleratore e dove viene dato maggior spazio al dialogo tra chitarra e il tarhu, quindi piacciono “Stand the Truth”, con un accordion suggestivo, o la drammatica epicità buckleyana di "Words of Wisdom", o ancora le delicate “Until” e “Expanding Universe”, mentre la vetta viene toccata da “A Price to Pay” col suo arrangiamento d’archi e il poderoso crescendo finale. Altrove invece, le idee ci sono e sono buone ma è come se non siano state sviluppate a dovere: “Far From my Dreams” parte bene con le sue atmosfere avvolgenti che ricordano “Release” dei Pearl Jam ma poi si prolunga per 8 minuti, sembrando ripiegarsi su stessa senza davvero mai prendere il volo. L’impressione è quella di trovarsi di fronte ad un prodotto realizzato con grande cura del dettaglio, a partire dallo splendido artwork che ritrae i musicisti come stregoni africani, fino ad un suono curato e scintillante. Forse troppo, a dire la verità, nel senso che forse, sull’altare della pulizia sonora è stato sacrificato un po’ di quel sacro fuoco che sono sicuro animi le loro esibizioni live, ma si tratta comunque di dettagli in un lavoro che risulta già maturo e riesce a valorizzare le idee quanto la tecnica dei musicisti. Disco molto interessante e band da seguire con attenzione. (Mauro Catena)