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sabato 17 dicembre 2011

The Sullen Route - Apocalyclinic

#PER CHI AMA: Death/Doom/Post Metal
Devo ammettere che non mi avevano fatto impazzire in occasione della loro prima release anche se un 65 se l’erano portato a casa, colpa di un sound un po’ troppo ridondante, fin troppo asfissiante e privo di una certa personalità. Il quartetto russo (orfano della bella bassista che aveva popolato i miei sogni in occasione della prima release) ci riprova e devo confessare che un bel balzo in avanti i nostri l’hanno fatto, forse seguendo anche le indicazioni che da più parti erano arrivate dagli addetti ai lavori, e che quanto contestavo nel precedente “Madness of my Own Design”, in questo nuovo capitolo è stato definitivamente limato e sistemato. Partendo comunque da una base death doom, ecco che la band di Volgograd ha seguito qualche piccolo accorgimento: migliorato sensibilmente il songwriting e lo si evince fin dall’iniziale “Hysteria”; abbandonate le divagazioni pachidermiche, conferendo una maggiore ariosità e dinamicità alla proposta anche nelle parti più strettamente doom come nella seconda “Selfish I”; migliorata decisamente la performance vocale, con Elijah molto più sicuro nella sua veste non growl (non posso parlare di clean perché non sarebbe corretto). Ciò che di buono c’era nel debut è rimasto invariato e sto parlando di quelle atmosfere malinconiche/autunnali che qui sono state riprese e curate maggiormente nei dettagli (splendida “Burial Ground”) dove addirittura il doom sembra voler lasciare posto a delle divagazioni post rock, con parti arpeggiate che contribuiscono nel permeare il tutto di una velata vena nostalgica. L’album trasuda di calde emozioni: “Cynoptic” è una song dal mood quasi trip hop spezzata solo dal growling profondo di Elijah e da un riffing a tratti possente. L’apice lo si raggiunge però con “Dune”, song che miscela un southern metal con il death, questo a dimostrare che i The Sullen Route questa volta devono essere presi decisamente sul serio, perché le idee ci sono e sono anche estremamente interessanti, come dimostrato dal finale goticheggiante affidato a “Tonight’s Avenue” e alla roboante “All in October” (che mi ha ricordato qualcosa dei Rapture). Bel disco, ne sono lieto. Ora mi aspetto il capolavoro con la prossima release. Avanti tutta! (Francesco Scarci)

(BadMoonMan Music)
Voto: 75

giovedì 30 dicembre 2010

The Sullen Route - Madness of My Own Design


Il freddo gelido dell’inverno sferza ancora il mio viso con questa release targata Solitude Productions. Questa volta si tratta dei russi The Sullen Route e del loro melodico death doom che ne segna il debutto. A differenza di altri act dell’etichetta d’oltre cortina, questo quintetto, che vede tra l’altro al basso una bellissima ragazza bionda, si dimostra abbastanza acerbo e con idee ancora del tutto da sviluppare, ma sono fiducioso per il loro futuro. Il sound dei ragazzi di Volgograd, formatisi nel 2008, trae spunto ancora una volta dai maestri del genere, My Dying Bride e Mourning Beloveth su tutti. Già dall’iniziale “Dagon”, l’ensemble dà sfoggio della loro forte propensione per melodie malinconie, pesanti e rarefatte, mancando però di quel pizzico di sfrontatezza, intraprendenza e personalità che solitamente contraddistingue tutte le band della label di Orel. La seconda traccia, “Gates” è già un po’ meglio, pescando un po’ alla rinfusa dalle produzioni di Saturnus, Officium Triste e dalla discografia della già citata band irlandese ma nonostante il tentativo di seguire le orme dei maestri del genere, il disco continua a stentare a decollare, risultando troppo spesso ripetitivo nel proporre determinati schemi musicali. Insomma, serve un po’ più di verve o qualche altra trovata per cercare di rinvigorire un sound che talvolta puzza fin troppo di stantio. I nostri ci provano cercando la soluzione in una qualche parte arpeggiata, come accade in “I Come with the Rain” o in una qualche ambientazione notturna o simil autunnale, ma per il momento la classe risiede ahimè da qualche altra parte. Il sound continua a patire la propria pesantezza come quella di un pachiderma seduto incapace di camminare. La musica procede lentamente nel suo incedere anche nelle successive songs, con il growling profondo di Elijah a sostenere il funereo death doom di questo, ahimè poco dinamico, “Madness of my Own Design”. Ci prova la title track a regalare qualche momento di vivacità col suo suono elementare ma efficace e il risultato è più che soddisfacente. L’album prosegue nel suo torpore fino alla conclusiva “One Way for Burning”, forse la song più originale e atmosferica del lotto (senza dubbio la più lunga con i suoi 10 minuti e passa). La band dovrebbe scrollarsi di dosso un po’ delle pesanti influenze che ne contraddistinguono il sound e cercare di articolare un po’ più le proprie composizioni per poter catturare al meglio l’ascoltatore altrimenti il fortissimo rischio è quello di nausearsi velocemente della loro proposta. Da rivalutare al prossimo lavoro. Comunque promossi. (Francesco Scarci)

(Solitude Productions)
Voto: 65