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giovedì 18 ottobre 2012

Shoulder of Orion - Winterstar

#PER CHI AMA: Black Progressive, In the Woods, Oranssi Pazuzu
La band in questione arriva da Cambridge e ci propone uno dei due lavori realizzati entrambi nel 2012 dal titolo “Winterstar” (“Lunaborn” è già stato recensito su queste stesse pagine). La band si presenta in trio con voce/chitarra/tastiere suonate da David White, al basso Justin Tophan e dietro le pelli Jonathan Hoey. Attivi dal 2007, hanno dato alla luce un demo e tre full lenght sino ad ora. “Winterstar” si presenta con una copertina spoglia, fredda, con un'immagine parziale di un albero in pieno inverno in scala di grigi e tutto questo ci fa già pensare a qualcosa di molto malinconico. In realtà la musica di questa band, per quanto cupa e introspettiva, gode di numerosi e rigogliosi spunti di eccentricità, una commistione tra Oranssi Pazuzu e la sperimentazione in ambito prog metal di band quali In the Woods, arricchita da un pathos molto raffinato e caldo, che rende il tutto squisitamente appetibile. Le composizioni sono tutte lunghe e scomposte, complicate, volutamente pilotate da una voce monotona e decisamente troppo maligna per il sound della band, ma che stranamente li rende unici e fastidiosamente interessanti; forse con una voce più consona, risulterebbero cloni di band più famose e quindi premiamo il coraggio di questa scelta. La cosa che più colpisce nelle loro composizioni contorte è il gusto per la melodia e la timbrica, resa ancora più efficace da un basso suonato molto ma molto bene e quelle tastiere, sempre in evidenza, rendono l'insieme così pulito anche se non propriamente accessibile, direi quasi ipnotico. I continui stacchi e le atmosfere a volte super coinvolgenti, insieme a veloci cavalcate e maestose aperture non lasciano spazio all'ascoltatore, proiettandolo in un continuo altalenarsi tra tristezza e decadenza, ma con stile ed orgoglio. Oserei dire che dopo tanti ascolti, reputo questo lavoro un piccolo gioiellino per la sua potenzialità espressiva, un insieme di brani che portano alla riflessione sul genere umano, e che stilisticamente, fondano lo spirito oscuro e rituale di Oranssi Pazuzu con il gusto melodico molto inglese dei Marillion e la visione avanguardistica del neo progressive dei mitici Anekdoten. La cosa che mi lascia più attonito, è che gruppi del genere non abbiano il giusto spazio nel panorama musicale mondiale; credo che se musiche di questo carattere fossero più incoraggiate, il metal, o più propriamente il prog metal, avrebbero un futuro assicurato! Per gli amanti del neo black progressive senza preconcetti e liberi a 360 gradi. (Bob Stoner)

(Self) 
Voto: 80

domenica 23 settembre 2012

Shoulder of Orion - Lunarborn

#PER CHI AMA: Black Psichedelia, Blut Aus Nord
Cambridge non è solo famosa per essere sede di una delle più antiche università al mondo o fantastico posto dove fare canottaggio, lungo il corso del fiume Cam, da oggi sarà nella mia testa anche la città di provenienza di questa fantomatica band black progressive che risponde al nome di Shoulder of Orion, che negli ultimi 2 anni ha rilasciato ben tre cd, di cui questo “Lunarborn” rappresenta l’ultima fatica. Un lavoro quello del trio britannico che sicuramente farà la gioia di chi, come il sottoscritto, apprezza enormemente i suoni angoscianti, sperimentali e psichedelici di realtà quali Blut Aus Nord o Lunar Aurora. E cosi, ecco squarciarci il nostro animo queste tre malvagie tracce di grim black metal che, complice anche una grezza produzione, vi soffocherà lentamente tra le sue tentacolari braccia. L’album si apre con i 13 minuti abbondanti e aggroviglianti della title track: spettrale ed inquietante, grazie ai suoni di chitarra ribassati e a quel basso, che in background, cavalca che è un piacere, mentre le screaming vocals di David White, passano in secondo piano, quando a sbizzarrirsi sono le tastiere, che ricamano immaginari paesaggi da epopea fantasy. Epici. Vinta la paura iniziale e la presunta feralità della band, è poi semplice abbandonarsi alle personalissime melodie del combo albionico, che nel mezzo del brano ci regalano un bridge che sa molto di rock/blues anni ’70. Un qualcosa di simile ed altrettanto avvincente, l’ho sentito ultimamente in casa Code 666 con i greci Hail Spirit Noir. Andatevi a cercare pure loro, noi andiamo avanti e rimango basito di fronte all’inizio di “Fall to Earth” e alla sua decadente e malinconica aurea, complice anche il flebile utilizzo di clean vocals. I ritmi non sono mai forzati, ma costantemente tenuti sotto controllo da questa band che reputo già matura per un contratto vero e proprio. La traccia, nei suoi avviluppanti 16 minuti, produce un sound unico, che, dipanandosi tra black, post rock, psichedelia, riesce nell’intento di ridurre a brandelli la mia mente. Poi, metteteci anche i continui cambi di tempo, col ritmo incalzante, ascendente, rilassante, crea dei pattern che rimbalzano tra l’ambient, il doom e suoni neoclassici, andando a citare tra le proprie influenze anche il cascadian black degli Agalloch, che irrompe qua e là nella costruzione delle song. A chiudere il disco, ci pensano i finali 16 minuti di “Son of the North”, più orientata verso suoni glaciali, ma comunque di grande impatto ed effetto, che sanciscono l’ingresso nella scena di un’altra band estremamente interessare da tenere sott’occhio. Label avvisate… (Francesco Scarci)

(Self)
Voto: 80