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martedì 22 agosto 2017

Postvorta - Carmentis

#PER CHI AMA: Post Metal, Isis, Cult of Luna
Quando si parla di post-metal in Italia, non si può assolutamente prescindere dal conoscere i Postvorta. Dopo gli enciclopedici 'Aegeria' e 'Bekoning', due colonne portanti in stile dorico del metal nostrano, i nostri ci offrono un’altra opera degna e figlia diretta dei suoi predecessori: 'Carmentis', edita da Third I Rex in UK e da Argonauta in Italia. Il nome sembra fare riferimento alla dea romana Carmenta, protettrice delle gravidanze e dotata del dono della profezia. Anche l’artwork rievoca lo stesso significato, il feto umano nell’utero richiama infatti il susseguirsi inesorabile del ciclo della vita e della morte nella sua fase di rinascita e di costruzione di un nuovo inizio. Premetto che la mia opinione su questo progetto verrà sicuramente influenzata dal fatto di averli visti live svariate volte e aver condiviso con loro il palco, ma credo questo sia solamente una conferma della qualità musicale e dell’imperturbabile identità artistica che i Postvorta portano avanti da parecchio tempo. Veniamo al dunque, 'Carmentis' è un porta d’entrata per l’universo del nulla, è un tempio all’ignoto e alla catarsi, dove ogni forma di pensiero umano si sgretola davanti alla maestosità estemporanea del suono. I pezzi principali sono incorniciati da due tracce soniche "15" e "13", rispettivamente intro e outro del disco, a rafforzare l’approccio post alla stesura dell’opera. In "15" si percepisce subito una voce femminile che danza assieme ai suoni ancestrali delle chitarre, a richiamare di nuovo il tema della maternità e della rinascita. Le colonne portanti dell'album poi sono i tre brani centrali, che assieme sommano a quasi 35 minuti. "Colostro", il primo dei tre, inizia con un breve ambiente sospeso a tratti quasi rassicurante, che ricorda “Carry” degli Isis, sostenuto solo dalla batteria e da pochi eterei intrecci di note. Il brano presto divampa come un incendio estivo alimentato dalla voce decisa e imperiosa di Nicola che si staglia sulla struttura di cemento armato, alluminio e ghiaccio creata dalle tre chitarre e della solida sezione ritmica dei Postvorta. Non pensare ai Cult of Luna all’ascolto di questo pezzo ed in generale di questo disco, sembra quasi impossibile. La sensazione è quella di entrare nella sala del trono di un monarca antico e dimenticato, inginocchiarsi a lui con rispetto e devozione per ascoltare i suoi ordini impastati nell’eco dell’alto soffitto della sala. La volontà del Re è guerra, morte e distruzione ma si percepisce la sua infinita saggezza forgiata da innumerevoli battaglie che convive con l’esasperato senso di appartenenza alla propria gente e ad un profondo amore verso i propri sudditi. Alla fine del pezzo si sente l’aria fredda che entra dagli spifferi delle vetrate dietro il trono e mi accorgo di non essere più in ginocchio ma seduto, da suddito sono diventato il Re stesso. "Cervice" mi catapulta direttamente sul campo di battaglia, gli eserciti sono schierati e marciano attraverso una landa desolata ed ostile. Il bagliore delle armature e il rumore ritmato della marcia inondano la valle, pare invincibile la mia armata, niente e nessuno potrà mai sconfiggere un tale dispiegamento di forze. Tornano gli ambienti onirici che levitano a mezz’aria per poi tornare a tuffarsi nel fango di sontuosi riff sludge fino ad arrivare alla coda dronica dove le melodie si distruggono e si gettano nel pezzo successivo, "Patau". L’immaginario a questo punto subisce un lieve turbamento, il pezzo è il più travagliato e il più potente del disco, come se l’esercito antico avesse inaspettatamente incontrato il proprio nemico. Non sembra tuttavia essere l’orda di selvaggi sanguinari che vuole invadere le terre del Re, ma una violenta e implacabile tempesta di ghiaccio e neve che sorprende l’accampamento nel cuore della notte. Il vento taglia la pelle, ghiaccia i cavalli e scoperchia le tende. I soldati non possono nulla, le armi di ferro non hanno nessuna utilità. Rimane solo accettare il proprio destino e soccombere alla forza infinita della natura che così come ci ha creato, ci può distruggere in un soffio. Il disco si chiude con "13" e i suoni di archi antichi e note desolanti, come a rimirare alla luce dell’alba, il campo di battaglia per l’ultima volta. Una valle cosparsa di cadaveri congelati, di armi intatte e animali morti coperti da una coltre bianca immacolata. Il silenzio regna sovrano, non una goccia di sangue è stata versata. Onore ai Postvorta. (Matteo Baldi)

(Third I Rex/Argonauta Records - 2017)
Voto: 80

https://3rdirex.bandcamp.com/album/carmentis

venerdì 8 gennaio 2016

Postvorta - Aegeria

#PER CHI AMA: Post Metal, Cult of Luna
Quella di 'Ægeria' è una di quelle situazioni in cui spesso mi ritrovo, ossia voler segnalare al mondo intero l'uscita di un disco interessantissimo, pur non avendolo fisicamente nella mia collezione (ahimè è solo digitale, un grave delitto). Sto parlando dei romagnoli Postvorta e del loro EP che segna il primo capitolo di una trilogia sul ciclo della vita e che segue a distanza di un anno, il full length d'esordio dei nostri, 'Beckoning Light We Will Set Ourselves On Fire'. 'Ægeria' lo dico già, è un gran bel lavoro di post-metal, nella sua veste più classica, quella che strizza l'occhio a Isis e Cult of Luna, tanto per citare due nomi a caso, anche nella tipica costruzione dei brani, che si srotolano nella struttura strofa, intermezzo semi-acustico, strofa, intermezzo e via dicendo. "Amnios" ne è la dimostrazione assoluta, snodandosi in tal senso, lungo i suoi disagiati 13 minuti fatti di suoni raffinati che palesano si la devozione dell'ensemble italico verso le band sopra citate ma al contempo, anche l'enorme classe di cui sono dotati i ravennati. "Corion" prosegue sulla stessa scia, muovendosi tra giochi di luce in chiaroscuro, tenui atmosfere, vocals coriacee e splendide melodie di un post-metal scoppiettante che non accenna a mostrare segni di debolezza, ma anzi si arricchisce giorno dopo giorno di entusiasmanti sorprese (leggasi anche la nuova fatica dei Sunpocrisy). In "Uterus", l'elemento post-metal si arricchisce di incursioni in territori post-black con le classiche cavalcate alla Deafheaven, immediatamente smorzate da toni dimessi e quel perverso senso di malinconia che avvinghia l'intero lavoro e che genera in me contrastanti emozioni. La conclusiva "Placenta" è in realtà una cover più energizzata di “In The House, In A Heartbeat” di John Murphy, colonna sonora del film “28 Giorni Dopo”, song strumentale scelta non a caso, in quanto avvolta dalle stesse drammatiche suggestioni e portatrice delle stesse tetre emozioni delle precedenti tracce. Che altro dire se non suggerire la stampa in versione cd di questo piccolo gioiellino. (Francesco Scarci)

(Drown Within Records - 2015)
Voto: 85