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sabato 5 dicembre 2020

Akral Necrosis - The Greater Absence

#PER CHI AMA: Black/Death, Anaal Nathrakh
Grazie al lavoro incessante di Loud Rage Music e Pest Records, la scena rumena inizia ad affacciarsi nel panorama internazionale sempre con più forza. Oggi è il turno dei blacksters Akral Necrosis che giungono con 'The Greater Absence' al traguardo del terzo disco senza che io ne conoscessi l'esistenza. E allora benvenuti nel Pozzo dei Dannati, grandi violentatori di timpani. Si perchè la ferocia con cui i nostri aprono il disco è da paura, con "Silent Altar" che si presenta come una spirale di violenza senza compromessi ma chi si fermerà a questa superficiale valutazione sia bandito. Questo perchè la song ha una sua anima fatta di emozioni, melodie, tecnica e mille altre sfaccettature che lasciano davvero a bocca aperta. Violenza si, ma fatta con somma intelligenza un po' come insegnano da anni gli Anaal Nathrakh, ma qui, a differenza degli inglesi, si sentono ancor più palesi le influenze heavy classiche, altre note malinconiche che rendono la proposta del quintetto di Bucarest decisamente affascinante. Chiaramente, i suoni proposti in questo dinamitardo lavoro non sono certo per tutti, "Oldd Mirror" è una mazzata terribile sul muso che in quei suoi rari rallentamenti, riesce a rivelare ai fan le doti invidiabiliti di un gruppo di musicisti in grado di bilanciare elevatissime dosi di suoni infausti e ritmiche furenti con parti più controllate e iper tecniche che rivelano una grande preparazione strumentale. I miei complimenti. Soprattutto quando è "Intonation" a suonare nel mio stereo, in cui le melodie si prendono tutta la scena e in sottofondo lo screaming velenoso del vocalist dà man forte ad un suono comunque profondo, intenso e magnetico che nel finale trova modo di tornare ad essere caustico, ammiccando a Darkthrone e soci. Ancora frustate black con l'indiavolata "In Nightmare Shades" che dopo un giro di orologio rallenta paurosamente nei meandri di un doom angosciante, che ripartirà a ritmi furibondi dopo un altro giro di orologio. Ma devono avere origini svizzere i nostri visto che questo giochino di alternanza black-doom verrà adottato anche nei restanti 180 secondi. Ancora echi norvegesi (scuola Carpathian Forest) in "Man in the Cauldron", song glaciale (e incendiaria al tempo stesso) che potrebbe essere stata concepita in Scandinavia nel decennio '90-2000. Il disco è un susseguirsi di brani suonati a ritmi vertiginosi che vede ancora punti di grande interesse nello splendido e lugubre break atmosferico di "Revamping the Inside" o nell'aberrante ritmica, stile Altar of Plagues, di "Plaguebound", una traccia complessa e complicata che vi farà esplodere i pochi neuroni rimasti nei vostri cervelli, soprattutto grazie a quel suo doppio assolo conclusivo in grado di spettinare anche un pelato come il sottoscritto. Ultima menzione per il finale affidato a "Damnatio Memoriae", la traccia più lunga del lotto, quasi 10 minuti di ritmiche arrembanti, sparate a tutta velocità tra una tempesta di blast-beat, urla disumane, chitarre tremolanti ed un basso che sembra uscire da una hit degli Iron Maiden, che esaltano alla grande la prova di questi eccellenti Akral Necrosis. (Francesco Scarci)

domenica 29 novembre 2020

Tableau Mort - Veil of Stigma. Book I Mark of Delusion

#PER CHI AMA: Esoteric Black, Batushka
Di base a Londra, ma in realtà formati da elementi provenienti anche da Polonia, Italia e Romania, i Tableau Mort propongono un ferale black liturgico che per forza di cose richiama immediatamente un nome della scena estrema, i Batushka, che prenderemo in considerazione come vera band di riferimento per la compagine di quest'oggi. Si, perchè quando "Impending Corruption" divampa nel mio stereo con la furia micidiale del suo black, stemperata da quei cori da chiesa, il paragone con l'ensemble polacco è quasi d'obbligo. 'Veil of Stigma. Book I Mark of Delusion', album di debutto dei nostri, è un buon disco che aiuterà i fan dell'ormai doppio progetto Batushka, a trovare una soluzione alternativa ai bisticci dei due musicisti polacchi. Tanto meglio allora lasciarsi assorbire dalle atmosfere del quintetto londinese (con il vocalist James Andrews unico britannico della band) che si alternano a lancinanti ritmiche sferragliate a tutta velocità, come testimoniato dalla seconda, a tratti più pacata, "Fall of Man". La proposta si mantiene nei paraggi di un liturgical black metal soprattutto con la terza "Carpenter of Sorrow", ove i canti ecclesiastici si abbinano ad una ritmica a tratti spietata. Non siamo ai livelli degli esordi della band polacca citata all'inizio, però posso dire con assoluta franchezza che i Tableau Mort non sono affatto malaccio, forse ancora troppo ortodossi nella loro proposta forzatamente black, ma comunque in grado di regalare dei passaggi interessanti con la più atmosferica "Broken on the Wheel" o la mia favorita "Tapestry Sewn" (al pari della conclusiva "Beyond His Gaze", ove emerge anche qualche riferimento musicale ai Cradle of Filth). In queste tracce, la componente cerimoniale assume connotati ben più ampi rispetto al minimalismo mostrato nelle precedenti. Siamo ancora però lontani per parlare di miracolo musicale, ma si sa, che la strada per il Paradiso (ops per l'Inferno) è lastricata di buone intenzioni. (Francesco Scarci)

lunedì 16 novembre 2020

Váthos - Underwater

#PER CHI AMA: Atmospheric Black
La Romania ci ha preso gusto a sfornare band di una certa rilevanza artistica: dopo il glorioso passato ove sono cresciuto a base di vampiri e Negură Bunget, ecco che in un mese arrivano tra le mie mani prima i Katharos XIII e ora questi Váthos, band originaria di Bucarest, all'esordio assoluto con questo 'Underwater'. La proposta del quintetto rumeno è all'insegna di un black melodico che fin dalla opener "Ruins of Corrosion" sottolinea una certa capacità da parte dei nostri di saper variare il proprio pattern ritmico grazie ad aperture acustiche e linee di chitarra piuttosto melodiche. Pur non essendo di fronte a nessuna grossa novità in ambito musicale, concedo un ascolto attento ai pezzi: "The Suicide" ha un incipit che sa molto di post metal scuola Cult of Luna, poi squarci rabbiosi di chitarre e uno screaming efferato (migliorabile francamente), fanno il resto, sebbene la song si mantenga in territori molto più compassati e anche più interessanti rispetto alla traccia d'apertura, con aperture che di black sanno ben poco cosi intrise da una malinconia spiazzante. Altrettanto disorientante è poi quel break centrale un po' visionario che spezza in due il brano con una certa efficacia, in grado di catturare ancora il mio interesse, visto e considerato che nella seconda parte una voce pulita raddoppi quella gracchiante di inizio brano. Poi è solo un turbinio sonoro. Ancor più delicata "Curse of Apathy" che sembra accompagnarci in territori shoegaze e di seguito in un black atmosferico che pur non aggiungendo nulla ad innumerevoli altre recenti uscite, riesce comunque a catalizzare la mia attenzione, soprattutto in un finale arrembante che sembra godere anche di influenze post-hardcore, il che non mi dispiace affatto, per quel suo traboccare malinconia da ogni sua nota. In "Corrupted Mind" mi sembra di aver a che fare con un'altra band visto un attacco che sa più di thrash metal che altro, il che mi disorienta un pochino. Ci pensano poi le linee melodiche a ripristinare il tutto sebbene quel riffone granitico torni ripetutamente nel corso di un brano che mi ha lasciato francamente con l'amaro in bocca. Con "Shape of... " si torna nei paraggi di un post rock onirico fatto di chitarre tremolanti che evolvono nuovamente in quel black atmosferico apprezzato in apertura, che nelle parti più tirate risottolinea il background thrash dei nostri, mentre nei momenti acustici trasmette una certa drammaticità di fondo che permea comunque l'intera release. Diciamo che le idee ci sono, forse non ancora indirizzate nel modo adeguato, ma stiamo parlando comunque di una giovane band all'esordio e che quindi ha tutto il diritto di poter sbagliare. "Hold My Breath" ripropone un canovaccio abbastanza simile ma ancora una volta faccio fatica a digerire quel cantato caustico di Radu che deve sistemare anche certi guaiti anche nella sua forma più pulita. Il pezzo però non mi convince a 360°, data una ripetitività di fondo asfissiante e passo oltre, a "Sanctimonius Beliefs", song più pulita e dinamica, con il pulito del cantante subito in primo piano accompagnato da un riffing semplice ma efficace che in concomitanza dello screaming, diventa invece più sporco e bastardo. Ancora un break acustico (su cui avrei evitato di cantare in quel modo) e la song scivola con un ultimo slancio in tremolo picking fino a "Flower of Death" che chiude con gli ultimi arpeggi in tipico stile post rock, seguiti da un riffing di scuola Katatonia (era 'Brave Murder Day') che mi portano a concludere che 'Underwater' sia un platter interessante, forse ancora con qualche sbavatura ed un pizzico di immaturità a suo carico, ma che lascia intravedere ampi margini di miglioramento per il futuro. Ci conto ragazzi. (Francesco Scarci)

mercoledì 28 ottobre 2020

Katharos XIII - Palindrome

#PER CHI AMA: Black/Doom/Avantgarde/Jazz
Uscito oramai un anno fa ma arrivato solo oggi sulla mia scrivania, mi appresto a parlarvi di 'Palindrome', atto terzo dei rumeni Katharos XIII. La band originaria di Timișoara, aveva già fatto parlare positivamente di sè nel 2017 quando uscì 'Negativity'. Ora le cose sembrano migliorate ulteriormente con un 5-track ricco di contenuti. Se la base da cui partiva il quintetto era quella del depressive black, qui assistiamo ad una interessante evoluzione. Lo si capisce già in apertura, in cui facciamo conoscenza della candida voce di Manuela Marchis ma soprattutto del sax assatanato di Alex Iovan, altra splendida sorpresa di questo lavoro. "Vidma" è un pezzo che si muove tra black, doom, jazz e atmosfere orrorifiche che mi hanno rievocato 'The Call of the Wood' dei nostrani Opera IX, ma nelle parti più malinconiche, mi hanno evocato anche un che dei The Third and the Mortal di 'Tears Laid in Earth'. Potrete pertanto immaginare il mio sommo piacere nel godere di simili sonorità, che durante le fughe del sax, chiamano inequivocabilmente in causa anche i White Ward. Insomma un trittico di nomi che francamente mi fanno sobbalzare dalla sedia e pensare che stavolta i Katharos XIII l'abbiano combinata davvero grossa. E non posso che rimanere piacevolmente colpito anche dai successivi pezzi: "To a Secret Voyage" è un drammatico viaggio ambient imperniato su atmosfere notturne, quasi da piano bar, dove sedersi al bancone e affogare ogni singolo pensiero nell'oblio di un qualsivoglia distillato. La song prova a dare qualche accelerazione black (non proprio riuscitissima a dire il vero), ritornando poi a quelle sonorità lounge, in cui i nostri sembrano trovarsi maggiormente a proprio agio. E si va a nozze a tal proposito anche con la lunghissima "Caloian Voices", un altro esempio di avanguardistico sound dark jazz doom prog con la voce di Manuela davvero ispirata e quel sax che è puro godimento ascoltare. Non mancano i cambi di tempo, che spezzano le atmosfere rilassate sin qui create e ne generano altre decisamente più angoscianti fatte di suoni spettrali e voci malvagie in sottofondo. Il finale poi è da applausi con lo sperimentalismo dei nostri che prende il sopravvento tra parti disarmoniche e fughe jazz. "No Sun Swims Thundered" ci conduce in misantropici oscuri meandri dai quali non far ritorno per abbandonarsi ai vocalizzi della bravissima e sofferente Manuela, sempre più convincente. La song vive ancora di spettrali break atmosferici e quegli ormai consueti frangenti jazz che li avvicinano ai norvegesi Shining. Uno spettacolo, anche alla luce di un finale affidato allle delicate e soffuse melodie di "Xavernah Glory" che sanciscono le enormi potenzialità di questa compagine. Insomma, per me 'Palindrome' è una sorta di buy or die. Intesi? (Francesco Scarci)

domenica 18 ottobre 2020

Váthos - Underwater

#PER CHI AMA: Black/Death
Direttamente dalla capitale rumena, ecco arrivare i Váthos, giovane e promettente band in giro da solo tre anni, che con questo 'Underwater' raggiunge la prima tappa della carriera, ossia il debutto. Il genere proposto dai cinque di Bucharest è un black melodico che vede saltuarie accelerazioni nel post-black ma altrettante divagazioni sul versante death e post-rock. Quindi possiamo far conoscenza col quintetto di quest'oggi partendo dall'opener "Ruins of Corrosion", una song che lascia intravere le buone potenzialità della compagine rumena, ma ancora qualche lacuna sia in fase compositiva che sotto l'aspetto di personalità/originalità. La band parte subito bene con una buona linea melodica che però tende a perdersi laddove i nostri provano ad accelerare un pochino di più, mentre sembrano rendere al meglio in territori più ragionati, dove peraltro emergono le idee migliori. La prima traccia quindi scivola via in un riffing alla lunga stancante che solo nel finale vede qualche significativa variazione al tema. "The Suicide" la trovo decisamente più ispirata, con le chitarre delle tre (dico tre) asce a disegnare malinconiche melodie sulle quali si staglia la voce in screaming di Radu. L'intensità emotiva tuttavia non lascia scampo e presto s'incunea nell'anima generando un certo feedback depressive che mi colpisce davvero tanto, complice anche la voce del frontman che abbandona il suo stile urlato per dedicarsi ad un pulito più convincente. E le clean vocals tornano immediatamente anche in "Curse of Apathy", un altro buon pezzo che palesa le buone qualità del quintetto, ma non ancora cosi eccelse. Mi spiego meglio, se da un lato il tremolo picking, cosi come le parti arpeggiate di scuola post rock, generamo sempre quel feeling emotivo in grado di chiudere la bocca dello stomaco, dall'altro la potenza emozionale sembra perdersi nei momenti in cui i nostri provano a premere sull'acceleratore per mostrare il loro lato più rude, non è necessario. Ed infatti è un peccato, perchè in questo modo rendono l'ascolto di 'Underwater' molto più altalenante anche a livello di interesse. Lo stesso accade per dire con un brano come "Corrupted Mind", una sgaloppata death/thrash che non c'entra davvero granchè con quanto ascoltato sino ad ora e che francamente mi ha fatto un po' storcere la bocca. Un po' meglio con "Shape of…": classica introduzione riverberata, un po' di bordello per un paio di minuti almeno fino a quando la band ci regala ancora pregevoli attimi di atmosfera cosi come pure successivi riferimenti a post-punk e shoegaze che rendono interessante l'ascolto. Arpeggi ancora in apertura con "Hold My Breath" con tanto di ausilio di voce pulita che presto lascerà il posto alle harsh vocals del cantante, mentre le chitarre tornano implacabili a tracciare riff affilati come lame di rasoi, fondamentalmente senza aver nulla da dire. È però ancora una volta sulla componente melodica che torno a fermarmi e a sottolineare come la band dia il meglio di sè quando rallenta e offre frangenti più emotivamente interessanti. Nell'ennesima sgroppata finale invece, meglio lasciar perdere. Con "Sanctimonious Belief" ci avviamo verso il finale del cd, dove manca ancora all'appello "Flower of Death". Il primo è un discreto pezzo di black melodico dotato del classico break acustico centrale e di tremolante coda finale. La seconda traccia sembra prendere in prestito dal post rock le tipiche atmosfere oniriche, per poi proseguire con sonorità che paiono strizzare l'occhiolino agli Agalloch più primordiali. Interessante tentativo di imitazione degli originali che rimangono inevitabilmente in vetta all'Olimpo del genere, mentre i Váthos hanno ancora un bel po' di strada da percorrere per poter emergere e trovare la propria identità. (Francesco Scarci)

(Loud Rage Music - 2020)
Voto: 68

https://loudragemusic.bandcamp.com/album/vathos-underwater

sabato 27 luglio 2019

Ordinul Negru - Lifeless

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Hellenic Black Metal, Rotting Christ
L'avevamo anticipato meno di un mese fa, in occasione della recensione di 'Nostalgia of the Full Moon Nights', che quest'anno la Loud Rage Music aveva fatto uscire qualche re-issue dei vecchi album degli Ordinul Negru. Dopo aver quindi tributato quell'album, ci spingiamo un po' più indietro verso le radici della compagine rumena, da sempre guidata dal buon vecchio Fulmineos. Ed eccoci quindi a parlare di 'Lifeless', il quarto disco dei nostri, che vedeva il solo polistrumentista gestire gli Ordinul Negru. E con un album di oltre 60 minuti e undici pezzi, non deve essere stata proprio una passeggiata. Il disco di primo impatto, risente fortemente del black metal ellenico, scuola Rotting Christ, il che, solo per questo, lo rende differente da 'Nostalgia...', che subiva invece una forte influenza norvegese. Interessante pertanto ascoltare le melodie dal sapore mediterraneo dell'opener "Wolves from the Ancient Forest" che pongono la one-man-band rumena molto vicina, per affinità musicali, agli esordi di Sakis e soci, penso a 'Thy Mighty Contract' o ancor prima, all'EP 'Passage to Arcturo'. Un po' fuori tempo massimo qualcuno avrebbe da obiettare, però il sound ellenico è un qualcosa che pare essere rimasto immutato nel corso del tempo attraverso le release dei Rotting Christ stessi ma anche di Necromantia, Varathron, Zemial, Thou Art Lord e molti altri. Allo stesso modo, la musica degli Ordinul Negru sembra possedere in questo 'Lifeless', la stessa insana magia di quei protagonisti che hanno reso illustre la scena. Quello che fa specie alla fine è che il nostro mastermind di oggi non sia greco, per il resto trovo che 'Lifeless', per quanto mostri ancora lacune importanti su più livelli (produzione, mixing, suoni rozzi e primitivi), incarni alla grande l'indomito spirito guerriero mediterraneo, il che si traduce in battagliere, feroci, tiratissime song, quali le brevi "Warewolf", "Eve Tales" o la più atmosferica "The Cold Spirit Arouse from a Forgotten Soul", passando poi per le più strutturate e lunghe (entrambe oltre i nove minuti) "Morbid Prophecy" e "Serpent's Promise" che delineano un black dalle tinte oscure, contraddistinto da un mid-tempo dotato di mistiche atmosfere orrorifiche declamate dalle magnetiche screaming vocals di Fulmineos, uno che vi ricordo aver cantato anche nei mitici Negura Bunget. Un pezzo che ho particolarmente apprezzato, più per le sue trovate tastieristico-sperimentali, è "Snow Covers the Blood of the Warrior", ma in generale è tutto l'album a convincermi, con la consapevolezza che è stato concepito oltre dieci anni fa con tutti i limiti del caso legati anche alle pesanti influenze che subisce. Fatte tutte le dovute premesse, trovo che l'occultismo di cui 'Lifeless' è intriso, lo renda più convincente del suo successore. (Francesco Scarci)

(Banatian Records/Loud Rage Music - 2008/2019)
Voto: 72

https://loudragemusic.bandcamp.com/album/ordinul-negru-lifeless

venerdì 12 luglio 2019

Ordinul Negru - Nostalgia of the Full Moon Nights

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Norwegian Black Metal, Emperor, Immortal
Uscito originariamente nel 2011 per la Banatian Records, ma andato assai presto sold-out, 'Nostalgia of the Full Moon Nights' dei rumeni Ordinul Negru, viene a grande richiesta, riproposto dalla Loud Rage Music, in contemporanea con un'altra release dei nostri uscita nel 2008, 'Lifeless'. Per chi ancora non conoscesse la band di Timişoara, sappia che i nostri sono fautori di un acidissimo black metal, nelle ultime release corredato da aperture atmosferiche, ma che in questi primi episodi fanno in realtà capolino molto di rado. "In the Fullmoon Nights", l'opener del disco, è infatti una rasoiata che richiama i selvaggi anni '90 in Norvegia, un sound all'insegna di ritmiche tiratissime in blast beat e grim vocals. Echi di Dimmu Borgir (era 'For All Tid') affiorano in alcuni millisecondi sinfonici della seconda "Steps Over Time", che delinea accuratamente dove affondano le influenze dei quattro musicisti rumeni. La cosa si ripropone con più ardore nella terza "Crepuscul și Blestem", una traccia che oltre a mostrare ampi segni di sinfonicità, enfatizza con le classiche chitarre in tremolo picking, anche una certa vena malinconica, spezzata poi dalla tumultuosa veemenza black dei nostri. Il disco prosegue su questa falsa riga, infarcendo più o meno copiosamente, la violenta architettura ritmica dei nostri con spettrali inserti tastieristici che mitigano le intemperanze rabbiose offerte dal sound degli Ordinul Negru. I richiami al black anni '90 rimangono comunque molteplici: dai Burzum nella partitura iniziale di "Dark Realm" ai primi Ancient in "Forgotten in Apathy" ma pure echi di Gehenna, primi Immortal, Emperor e compagnia bella, sono più o meno udibili a 360 gradi in tutto il disco, anche quando emergono delle inattese clean vocals in "Beyond Twilight". Il disco alla fine è discreto, considerata peraltro una produzione non certo raffinata, un lavoro che deve stare assolutamente nella collezione dei fan della band rumena. Per gli altri, dò per scontato che nella loro collezione ci sianoin primis i grandi classici del passato, se poi rimane un po' di spazio, beh magari si potrebbe dare anche una chance agli Ordinul Negru. (Francesco Scarci)

domenica 7 luglio 2019

Mercy's Dirge - Live, Raw & Relentless

#PER CHI AMA: Black/Thrash, Celtic Frost, Possessed
Prosegue l'excursus sulle band rumene da parte della Loud Rage Music. Oggi è la volta del debut dei Mercy's Dirge, 'Live, Raw & Relentless', un album uscito autoprodotto nel 2018 e riproposto dall'etichetta di Cluj-Napoca nell'aprile 2019. In realtà, il disco contiene brani contenuti nell'EP uscito lo scorso anno e nei demo di metà anni '90 della band. Si proprio cosi, visto che il sestetto di Suceava aveva fatto uscire un paio di tapes nel 1993 e nel '95 prima di sciogliersi nel '97 e ritornare poi nel 2015. Il disco potrete pertanto immaginarlo come una sorta di bignami di rozze sonorità black/thrash/death di fine anni '80, un po' come mettere sotto lo stesso tetto Venom, Possessed, Celtic Frost, primi Sepultura, Kreator e Bathory, in un disco che francamente mi sento di consigliare solo ai nostalgici del genere. Undici tracce per quasi un'ora di suoni che definirei retrò proprio per non scrivere vintage e che poco ormai hanno da dirmi, avendo vissuto a quel tempo l'ondata di tutti quei mostri sacri. Se poi, siete giovani e non avete mai avuto tempo di approfondire le band di cui sopra, ma sarebbe un vero sacrilegio, allora provate a dare un ascolto anche al nevrotico sound dei Mercy's Dirge, alle architetture ruspanti (quasi punk-hardcore) di "Devilish Wish", ove accanto al cantato urlato, trova addirittura spazio una voce pulita. Tra gli altri brani, mi ha colpito l'epicità occulta di "In the Name of...", cosi evocativa nel suo cantato arcigno che troneggia su quella ispida ritmica sparata sul finire a tutta velocità. Il disco prosegue su questa scia fino alla conclusiva, seminale ed heavy "Senseless Agony", in una sorta di finestra su vista death/punk dei favolosi anni '80. Insomma, praticamente nulla di innovativo, solo un bel salto indietro nel tempo alla riscoperta di vecchi suoni ormai dimenticati nella notte dei tempi. (Francesco Scarci)

martedì 18 giugno 2019

Rancorum - The Vermin Shrine

#PER CHI AMA: Death Old School, Entombed, Morbid Angel
Se la francese Les Acteurs de l'ombre Productions è focalizzata nella promozione di band del proprio paese, ecco che un atteggiamento analogo viene perseguito anche dall'etichetta rumena Loud Rage Music, attenta nello scovare band interessanti nel proprio nutrito sottobosco. E cosi, ecco arrivare da Bucarest i Rancorum, moniker che non mi fa proprio impazzire, ma che a livello musicale, non appaiono proprio degli sprovveduti. Alfieri di un death metal old school, il quintetto rumeno esordisce con 'The Vermin Shrine', sei mortifere tracce che presentano vari rimandi nel proprio tortuoso sound. Se ascoltiamo l'opener "Voidification", è inevitabile non pensare ai Morbid Angel nei saliscendi ritmici imposti dai cinque musicisti. Ritmica solida, massiccia, poco spazio alle melodia, in un brano ritmato che mette in mostra certamente un bravo vocalist dietro al microfono, un'ottima produzione, bella potente ma poco altro. Con "Bedlam of Saints" ci trasferiamo invece in Svezia, Stoccolma per l'esattezza, per godere di quei riferimenti musicali che resero grandi gli Entombed nel periodo d'oro tra 'Left Hand Path' e 'Clandestine'. Certo non si raggiungono le velocità vertiginose di quei due album, ma i nostri Rancorum ci deliziano con un sound massiccio, assai ritmato che rievoca proprio i gods svedesi e i loro compari Grave e Dismember, il trittico delle meraviglie per ciò che concerne il death metal scandinavo. La musica non cambia poi di molto anche con le successive "Nadiral" e "The Shining", due brani che vanno dritti per la loro strada senza proporre troppi stravolgimenti alla proposta del combo rumeno, solo che questa volta nelle linee di chitarra ci sento un che di 'Testimony of the Ancients' dei Pestilence. Peccato solo manchi quella delirante componente progressive che rese grande l'ensemble olandese, sebbene non abbia nulla da obiettare nei confronti dei Rancorum per ciò che riguarda il livello tecnico-esecutivo. Il limite di 'The Vermin Shrine' sembra essere alla fine la sua eccessiva monoliticità che non apre neppure a qualche sprazzo melodico. Questo ne rende l'ascolto probabilmente poco entusiasmante, necessitiamo infatti di parecchi ascolti per assimilare la proposta della band. Si prosegue intanto con la veemente "Towards Below" che con la conclusiva title track, hanno ancora da regalarci quindici minuti di suoni percussivi, assai ritmati nel primo caso, che a metà brano sembra quasi avvicinarsi al death doom, ma che finalmente regala un tagliente assolo finale. Con l'ultima "The Vermin Shrine" ci caliamo negli abissi per un pezzo che ha ancora modo di evocare l'essenza di un mostruoso a tre teste formato da Morbid Angel, Entombed e Pestilence. (Francesco Scarci)

(Loud Rage Music - 2018)
Voto: 70

https://rancorum.bandcamp.com/

martedì 12 giugno 2018

Paragon Collapse - The Dawning

#PER CHI AMA: Doom/Gothic, The 3rd and the Mortal
La Romania ormai ha un sottobosco che pullula di molteplici creature. L'ultima che mi è capitata tra le mani, grazie al supporto della Loud Rage Music, è questa dei Paragon Collapse, quintetto di Iași al debutto con il cui presente 'The Dawning'. Il genere proposto? Presto detto, un doom carico di groove per un ascolto abbastanza agevole, reso ancor più semplice dalla performance di Veronica Lefter alla voce (e violino), per un risultato che scomoda facilissimi paragoni con i The 3rd and the Mortal. La performance della cantante rumena infatti è accostabile a quella della bravissima collega Kari Rueslatten, quando si lanciava nei magnifici e soavi gorgheggi in 'Tears Laid in Earth', primo stratosferico album dell'act norvegese. Quindi, non mi stupirei se anche voi come il sottoscritto, vi lasciaste sedurre dalla musica di questi musicisti, che sin da "The Endless Dream" (il pezzo più bello del disco), tra porzioni acustiche, riffoni doom, parti di violino e vocals eteree, mi acchiappa non poco. Chiaro che l'accostamento con l'ensemble norvegese è talvolta fin troppo palese, tuttavia non mi dispiace immergermi in quelle atmosfere, in taluni casi assai assai lugubri, e godere di cotanta musicalità decadente. D'altro canto, una lunghezza talvolta abbastanza impegnativa dei pezzi, rende francamente meno fruibile il cd. Dopo gli 11 minuti della opening track ce ne sono altri nove li ad attenderci in "The Stream" e, se non siete proprio degli amanti delle sonorità gothic doom, accompagnate da vocals soavi, ecco che il tutto rischia di pesare non poco. Per fortuna, a concedere qualche variazione al tema, ci pensa il violino della brava Veronica, e qualche brano di minor durata che, seppur si riveli più ostico da digerire, offre un sound che rischia addirittura di sconfinare nel prog, come nel caso della strumentale "A Whisper of Destiny". La proposta dei nostri soffre però anche di qualche calo tensivo: "Nirvana" è un po' piattina e per certi versi mi ha evocato gli Ashes You Leave più immaturi. La qualità del disco sembra assestarsi su un discreto livello qualitativo, complici linee di chitarra che talvolta suonano un po' troppo anacronistiche, sebbene possano richiamare anche i Paradise Lost degli inizi. Ci sarebbe bisogno di ben altro per rendere molto più appetibile il disco, anche se la lunghissima "Climbing the Abyss" sembra offrire parecchie variazioni al tema, tra chiaroscuri sonici, intermezzi folklorici e l'oscurità di un suono che sembra divenire via via più buio, abbagliato solamente dagli interventi azzeccatissimi della violinista. Alla sesta song, "A Winter Life", la figura di Veronica dietro al microfono diventa sempre più ingombrante e alla fine rischia di annoiarmi eccessivamente. Avrei dato maggiore spazio agli strumenti, alle fughe atmosferiche, anche alla presenza di un vocalist maschile che potesse porsi da contraltare cantante soprana, e in ultimo avrei dato una maggiore vivacità alle linee di chitarra, come invece accade nella conclusiva, robusta e più ondulatoria "Deliverance". C'è sicuramente ancora molto da lavorare, ma i presupposti per fare bene ci sono sicuramente tutti. (Francesco Scarci)

martedì 8 maggio 2018

CodeRed - Dominions of Our Deceitful Beliefs

#PER CHI AMA: Brutal Techno Death, Morbid Angel, Nile
Uscito originariamente autoprodotto nel 2013, 'Dominions of Our Deceitful Beliefs' rappresenta l'album di debutto dei CodeRed, combo proveniente dalla Transilvania. Se la label rumena Loud Rage Music lo sta riproponendo rimasterizzato, un perchè ci deve pur essere, e allora lanciamoci all'ascolto di un lavoro che affonda le proprie radici nel death di scuola americana, quella che rincorre un nome su tutti, i Morbid Angel, non tralasciando poi Nile e Suffocation. È proprio da qui che il quartetto di Braşov parte, srotolando nove tracce (rispetto all'originale c'è una bonus track, "I'm the One") all'insegna di tecnica, brutalità ed improvvisazione, dato che già dalla seconda "Symptoms of General Decay" (ma anche successivamente in "Crowd Control") emergono chiari riferimenti al jazzato di Atheist e Pestilence, qui deprivati di quella forte componente melodica che regnava nei migliori album di quelle due mitiche compagini. Il sound proposto dai CodeRed è generalmente più dritto, affidandosi a ritmiche serrate, vocalizzi aspri in stile Vader e al classico sound chitarristico a la Morbid Angel: vi basti ascoltare l'opener "At His Appearance Dark Red" o la terza "Way of Nibiru" per trovare i punti di contatto con la band floridiana e quel sound tanto in voga a metà anni '90, ma quando poi si arriva alla porzione solistica, ecco che anche echi dei primissimi Cynic emergono forti e chiari dal nevrotico caos sonoro generato dai quattro musicisti rumeni. Ora mi è più chiaro il motivo per cui la Loud Rage Music ha voluto riproporre questo cd, perderlo probabilmente sarebbe stato davvero un grosso peccato. (Francesco Scarci)

lunedì 7 maggio 2018

Spectral - Neural Correlates of Hate

#PER CHI AMA: Techno Death, Spawn of Possession, Pestilence
Formatisi nel 2007, i rumeni Spectral arrivato all'agognato debutto sulla lunga distanza addirittura dopo oltre dieci anni, grazie al supporto dell'attivissima Loud Rage Music. Le coordinate stilistiche lungo le quali si muove il trio di Piteşti, formato peraltro da un membro dei CodeRed (che presto leggeremo su queste pagine), sono quelle del techno death, grazie a nove brillanti tracce che iniziano ad incendiare l'aria già con "Artificial Storage, una song che chiama in causa Pestilence e Necrophagist, giusto per fare un paio di nomi. Le linee di chitarra sono vertiginose, la voce di Andrei Calmuc bella abrasiva, e il comparto affidato alla contraerea di Romain Goulon, il batterista, davvero notevole. Non dovete immaginare però un campionario di velocità furibonde o ritmiche super-pestate perché i nostri sciorinano un bel po' di tecnica a completamento del proprio assetto da guerra. Splendida a tal riguardo la porzione acustica di "Ashes to Dust", cosi come la sua parte solistica, una song da paura che merita tutto il vostro ascolto e rispetto in una cavalcata di quasi nove minuti di montagne russe, certo non la più semplice delle passeggiate, considerato il genere. Il disco continua poi offrendo questo campionario di soluzioni artistiche tra stop'n go da lasciare senza fiato, elevatissime dosi di tecnica individuale, incursioni brutal death di scuola Spawn of Possession o annichilenti partiture di ultra techno death che evocano anche gli Obscura. Alla fine, 'Neural Correlates of Hate' è francamente un ottimo album di fresco ed intenso techno death metal che oltre a protendersi verso il brutal (nella title track ad esempio), arriverà anche a sconfinare nel progressive deathcore, offrendo la raffinata proposizione del genere dalle sapienti ed allucinate (ascoltatevi "Hallucinatory Authorization") menti di questi Spectral. (Francesco Scarci)

giovedì 8 febbraio 2018

Descend Into Despair - Synaptic Veil

#PER CHI AMA: Funeral Doom, Shape of Despair, Saturnus
Che aspettarsi da una band il cui monicker significa sprofondare nella disperazione? Di certo non sonorità solari, piuttosto direi suoni votati al depressive o al funeral doom. Ebbene, non serve essere troppo arguti per capire che i rumeni Descend Into Despair propongano simili sonorità, ma poi vedendo l'estenuante lunghezza dei pezzi, propendo più sulla seconda delle mie ipotesi. Obiettivo centrato. I sette elementi, di stanza a Cluj-Napoca, offrono infatti in 'Synaptic Veil', suoni decadenti che hanno colto l'attenzione della sempre più guardinga Loud Rage Music, che ha deciso di puntare sui nostri. Cinque brani per quasi un'ora di musica ad esplorare temi quali il suicidio, l'inquietudine interiore e la malinconia legata alla solitudine. Cinque brani dicevo, che esordiscono con le inquiete melodie di "Damnatio Memoriae", in un tourbillon emotivo di oltre 13 minuti che chiama in causa i grandi del genere, My Dying Bride, Saturnus e Shape of Despair su tutti; i primi forse per la scelta di affidarsi a clean vocals (ma non solo), i secondi per l'utilizzo di melodie ariose quanto malinconiche, i terzi per quell'aurea di pesantezza che ammanta l'intero lavoro e dispensa angoscia a volontà. Ecco tracciate quindi le coordinate della opening track, ma in generale di tutto un album che trasmette una forte animosità nell'anima ed un senso di smarrimento e tormento che logora da dentro. Sicuramente da sottolineare le più che buone atmosfere disegnate dal lavoro coordinato tra chitarre e tastiere, che regalano uno splendido break centrale nella prima traccia, ove peraltro compaiono anche le growling vocals del frontman Xander. "Alone with My Thoughts" presenta un incipit più etereo, sebbene la pesantezza e la lentezza del riffing, combinato all'utilizzo granguignolesco delle vocals, la renda ancor più mortifera dell'opener. Ma la scelta di utilizzare arpeggi acustici è assai comune nel corso del disco: eccolo servito anche nella terza "Demise", dove la struggente voce di Xander si combina con un riffing pulito, atmosferico, a tratti indolente, che lascia ampio spazio alla strumentalità dell'act rumeno, in magnifiche trame chitarristiche che ricamano splendide melodie autunnali e suggestivi momenti d'ambiente, che si ritrovano anche all'inizio della quarta "Silence in Sable Acrotism", ove trovano spazio anche soavi voci femminili e dove la lentezza dell'ensemble si fa più importante, soprattutto alla luce dell'ultima traccia da affrontare, i 14 minuti di "Tomorrow". La luce qui sembra spegnersi definitivamente, cedendo il posto alle voci da orco del frontman e ad una chitarra che lascia presagire solo brutti pensieri, quelli forse di un domani senza speranza. (Francesco Scarci)

sabato 3 febbraio 2018

Funeral Baptism - The Venom of God

#PER CHI AMA: Black/Death
Arrivano da Bucarest (anche se in realtà le loro origini partano addirittura dall'Argentina) questi terroristi sonori che, sotto il vessillo Funeral Baptism, portano avanti la loro proposta dedita alla fiamma nera del black. 'The Venom of God' è il loro debutto sulla lunga distanza, sebbene la durata di poco inferiore ai trenta minuti, possa far pensare piuttosto ad un EP. All'attivo dei nostri proprio due EP, che mostravano le potenzialità infernali del duo rumeno. Potenzialità che si palesano anche attraverso questi cinque (più intro e outro) velocissimi pezzi che, dalla scarnificante e spietata "The Seething Spirit", arrivano a "My Last Whisper", sfruttando una furia belluina ed infame che non lascia scampo. L'unica mia raccomandazione è pertanto farvi attraversare dall'intemperanza ritmica di un combo votato ad una forma di black primordiale che nulla ha da aggiungere ad una scena del resto ormai satura da anni. Potreste tuttavia soffermarvi sulle atmosfere glaciali di "The Gift" che vi faranno credere, almeno per qualche minuto, di camminare tra le innevate foreste svedesi. Lo stesso dicasi per la furibonda "Pale Rider" che tra i suoi accordi, vede riproporre un rifferama malinconico che mi ha evocato gli spagnoli Nahemah. Se la title track ha una vena più oscura e ritmata, con "Return to the Void" si sfocia in death intransigente che trova come punto di legame col black, le sole ferali urla del vocalist Liviu Ustinescu, mentre i solos sembrano uscire da 'Reign in Blood' degli immortali Slayer. Creatura strana quella dei Funeral Baptism, sicuramente da avvicinare con cautela. (Francesco Scarci)

(Loud Rage Music - 2017)
Voto: 65

sabato 27 gennaio 2018

Bereft of Light - Hoinar

#PER CHI AMA: Black Doom, Wolves in the Throne Room
Quello delle one-man-band è un fenomeno assai diffuso sbarcato ora anche in Romania. Ad esserne affetto è questa volta, Daniel Neagoe, mastermind dei Bereft of Light, interessante progetto black/death doom, prodotto dalla Loud Rage Music. Forte della sua esperienza in band quali Shape of Despair e Pantheis, giusto intanto a metter li due nomi forti del panorama funeral mondiale, il bravo artista rumeno si lancia con 'Hoinar', in una commistione di afflitte sonorità decadenti unite all'asprezza del black metal a stelle e strisce di stampo cascadiano. "Uitare" è una lunga intro strumentale dal forte sapore nostalgico, una di quelle melodie da gustare alla finestra mentre una piovosa giornata di novembre volge al termine. La pioggia battente prosegue anche nella lunghissima "Legamant", quasi tredici minuti di asperità black, spettacolari parti acustiche, cavalcate roboanti in stile Wolves in the Throne Room, rallentamenti doom, disperate harsh vocals e soprattutto splendide fughe melodiche che si manifestando sovrane nella seconda disarmante metà del brano, in un crescendo emozionale da brividi. Con "Pustiu" ci prendiamo una più lunga pausa strumentale all'insegna dell'ambient, guidato da una struggente chitarra acustica e da intimistiche melodie da brividi. "Freamăt" e la conclusiva "Târziu", ci riportano alle sonorità assai care al buon Daniel, sempre in bilico tra un death doom atmosferico ed un più ferale cascadian black. Nella prima però, la novità risiede nella proposizione di epiche vocals pulite (in stile vecchi In the Woods o Primordial) che fanno da contraltare allo screaming feroce del polistrumentista rumeno, ottenendo cosi un effetto a dir poco esaltante. I frammenti di chitarra acustica nella seconda metà del brano che accompagnano poi il cantato evocativo di Daniel, sembrano indurre volutamente uno stato distensivo nella proposta del talentuoso musicista, che vanta tra le sue collaborazioni, anche Eye of Solitude, Ennui e God Eat God (ma il numero di band in cui Mr. Neagoe milita è ben maggiore). Chiudiamo con "Târziu", forse la song più lenta e sofferente del lotto, che esibisce uno splendido (l'ennesimo) break acustico centrale, dai cui drappeggi, s'innalzano le tormentate voci di Daniel che decretano l'eccezionalità di questo album da applausi. (Francesco Scarci)

(Loud Rage Music - 2017)
Voto: 85

domenica 14 gennaio 2018

The Wake - Earth’s Necropolis

#PER CHI AMA: Swedish Black, Dissection, Unanimated, Cradle of Filth
In Romania, quelli della Loud Rage Music hanno un certo fiuto nell'assoldare le band. Dopo i Kultika, ma prima ancora Grieving Mirth e Bereft of Light, tanto per fare qualche nome, ecco arrivare il duo rumeno/teutonico dei The Wake, da non confondere con gli omonimi finlandesi di inizi anni 2000. I nostri, sotto gli pseudonimi V e XII, ci guarniscono le orecchie con il debut 'Earth’s Necropolis' e la loro miscela di black melodico che vede nell'incipit strumentale "Proem" un buon punto di partenza per fornire fuorvianti indicazioni dal sapore dark doom sulla proposta musicale della band. Quello che posso sottolineare è un approccio musicale che guarda alla scena black scandinava come punto di riferimento. Questo diviene però palese solo nella seconda "Isolated Illusion", song dotata di un sound tagliente e melodico quanto basta per scendere a facili paragoni con bestiacce quali Unanimated e Dissection. Buono l'apparato ritmico, sempre ben bilanciato tra glaciali sfuriate black e squarci pregni di melodia che smorzano la violenza intrinseca nelle note di questi due musicisti. I brani sono diretti, secchi e brevi: "Lost Painting" dura tre intensi minuti, una tempesta il cui elemento portante, oltre allo screaming belluino del vocalist, è sicuramente il basso. Si corre sui binari di un tumultuoso post black con "Cadavers", una traccia che nei momenti più oscuri e ritmati, ha un che dei Cradle of Filth nelle sue corde. Si procede spediti e si arriva alla più criptica "Ship Of Hope" che vede il featuring al microfono di Joshua Kabe Ashworth dei christian metallers americani Society's Finest. "The Painter Of Voices" è un altro pezzo convincente che ammicca alla scena svedese, mentre le successive ed arrembanti "Earth's Necropolis" e "Trial Against Humanity" vedono altre due partecipazioni eccellenti: Michael Pilat, ex dei The Ocean nella prima e Costin Chioreanu dei Bloodway nella seconda a dare il loro prezioso contributo. In definitiva, 'Earth’s Necropolis', pur non inventando nulla di nuovo, si propone come un disco interessante per gli amanti di sonorità abrasive ma melodiche in ambito estremo. Concluderei, elogiando la lugubre cover del disco a cura di Travis Smith che in passato ha prestato i suoi servigi a gente del calibro di King Diamond, Death, Opeth, Devin Townsend e Katatonia, giusto per citarne alcuni. (Francesco Scarci)

(Loud Rage Music - 2017)
Voto: 70

Kultika - Pursuance

#PER CHI AMA: Post Metal/Progressive, The Ocean, Riverside
Ecco una band che ho amato sin dal loro esordio, i rumeni Kultika. Accasatisi presso la Loud Rage Music, il quintetto di Timisoara rilascia un nuovo EP di due pezzi, intitolato 'Pursuance', come apripista ad un nuovo album schedulato per questo 2018. Un bel modo comunque per dire al mondo che la band è presente, è in forma e ha voglia di stupire. "Do You Want To See The Splendor" è la prima song, suadente, rilassata e atmosferica che per più di otto minuti ha modo di offrire le proprie melodie di pianoforte prima e di chitarra poi, attraverso un riffing convinto, riflessivo ed intimista, ed un intreccio vocale tra clean vocals, voci femminili e un growling davvero notevole. I punti di riferimento guardano ai teutonici The Ocean (anche come impianto vocale) soprattutto per quell'alternanza vocale che si muove lungo le ispiratissime linee di chitarra che trovano ancora modo di corazzarsi, gonfiarsi e spingere verso una cavalcata finale quasi al limite del post black, salvata tuttavia da orchestrazioni da brivido. Una song quasi da 10 e lode. Passo ahimè alla seconda e ultima "Unburden Me", un pezzo in acustico che mostra tutta l'eleganza di cui i Kultika sono dotati, complici una splendida voce maschile e delle atmosfere sognanti e raffinate che lasciano intuire una possibile svolta dei nostri verso lidi progressivi che ammiccano a Porcupine Tree e Riverside. I miei complimenti... (Francesco Scarci)

(Loud Rage Music - 2017)
Voto: 80