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giovedì 23 aprile 2015

Limerick - S/t

#PER CHI AMA: Alternative/Stoner/Grunge
I Limerick sono tornati e lo hanno fatto con il botto. Se fossi costretto a riassumere il loro nuovo album in poche parole, queste sarebbero quelle giuste. Avevamo lasciato la band verso la fine del 2012 con il loro precedente cd e già a quei tempi si capiva che il trio avrebbe riservato grandi sorprese. Nel frattempo la band vicentina ha lavorato duramente, continuando ad esibirsi dal vivo e questo self-titled segna un traguardo importante per la loro crescita artistica. Il cd si presenta con un bel jewelcase, dalla copertina tenebrosa e disegnata ad hoc per quest'album, ben riuscita e che trasmette il mood dei brani contenuti. La prima traccia è semplicemente "Track 1", della serie meglio un titolo anonimo che uno scelto a caso e già dalle prime note si percepisce la buona qualità della registrazione. Dopo alcune folate di vento campionate, inizia l'ipnotico arpeggio di chitarra che sarà l'elemento trascinante per gran parte del brano. Una ninna nanna dal tono sommesso, ma che cresce piano piano, con una struttura semplice e solida fatta di batteria e basso intrisi di psichedelia. Il cantato segue la scia tracciata dagli strumenti e si alterna ad altre linee di chitarre cariche di effetti come riverbero e delay. Dopo questa brano introduttivo, il cd prende il volo con "Red River Shore", pezzo veloce e pesante fatto di puro stoner. La voce di Amedeo non lascia dubbi e la sua timbrica si riconosce facilmente, ruvida e ben definita che richiama influenze grunge; nel frattempo Flavio (batteria) e Giordano (basso) creano il tessuto pulsante del brano senza mai perdere tono. A metà pezzo arriva il break che permette all'ascoltatore di prendere fiato e iniziare a ballare una danza quasi dimenticata, mentre suoni dissonanti di chitarra slide ci trascinano in un vortice sempre più veloce che ci riporterà al riff iniziale, per poi chiudere in bellezza. Gli arrangiamenti dei Limerick vantano un tocco di personalità e aumentano la riconoscibilità dei brani, una mossa vincente che permette una maggiore visibilità tra le molteplici band in circolazione. "Wet" è un tributo al sound dei QOTSA (quello di "Songs for the Deaf" per capirci), ma le similitudini si fermano al riff iniziale perché poi i Limerick stravolgono le cose e fanno capire che non hanno certo bisogno di fare il verso ai gods statunitensi per convincerci. Infatti, dopo poco la canzone evolve, basso/batteria cominciano a scalciare indomabili e le chitarre s'ingrossano a dismisura. Gli arrangiamenti si confermano raffinati e studiati nel dettaglio, con un velo malinconico e oscuro che piace e convince. "Buried Love" è quel brano che finisce presto (poco meno di tre minuti), ma che c'incatena davanti alle casse dello stereo mentre la pressione sonora riempie i polmoni di aria calda del deserto. Uno schiaffo in piena faccia fatto di riff arroganti, un drumming propulsivo che sembra uscire dagli speaker e le linee di basso che si stringono intorno al collo come serpi assetate. In tutto questo non mancano le finezze in sede di sovraincisione, come la seconda voce del buon Flavio che finisce per cavarsela egregiamente. Un brano che dal vivo scatena il pubblico e da testimone non posso che confermare la capacità del trio nel regalare da sempre concerti degni di essere vissuti; tre musicisti che non sentono minimamente la mancanza di un sostegno addizionale perché loro bastano e avanzano. In definitiva un ottimo album che non deve mancare assolutamente nella vostra raccolta e che meriterebbe una versione in vinile quanto prima per poter gustare al meglio ogni singola sfumatura di questo album omonimo; anche uno split con un'altra band non sarebbe male, ma sono certo che presto avremo altre novità dai Limerick. Ormai il sentiero è tracciato, ora va seguito con convinzione. (Michele Montanari)

(Self - 2015)
Voto: 80

martedì 6 novembre 2012

Limerick - Bectibù

#PER CHI AMA: Rock/Stoner/Grunge
Burn Vicenza Burn. Giusto per citare un altro grande gruppo della zona, i Limerick danno fuoco alla miccia che corre attraverso la miseria musicale e fanno saltare in aria il ventre molle del sistema. Conoscere i Limerick, vedendoli suonare su un grande palco, mi ha rimescolato le budella come non mai ed una domanda mi è balenata subito nel cervello: e questi, dove sono stati rinchiusi fino ad ora? In sala prove ovvio, lavorando ore ed ore, per scrivere i pezzi, curare il suono e trovando pure il tempo di registrare questo grande “Bectibù”, nato proprio tra quattro mura insonorizzate alla bell'e meglio. La definizione Rock/Stoner/Grunge non dice tutto dei Limerick, varie influenze serpeggiano infatti tra le otto tracce, ma mi piace pensare che non sia stata la musica di altri ad inspirarli. Loro si definiscono un lungo viaggio che parte da Seattle, scende per la costa pacifica e passa attraverso le distese sabbiose della California e qualcosa si percepisce, sonorità stoner come un macigno, per quanto riguarda la parte strumentale e la voce, che evoca uno stile grunge, ma con un timbro personale. La giostra inizia con la prima traccia "Y", bella tosta sin dal primissimo riff di chitarra che, sostenuta dal basso, può permettersi delle belle digressioni e dalla batteria che mostra subito un grande potenziale, che non vede l'ora di esprimersi. Diciamo che i 2' 38'' passano velocissimi e si ha l'impressione di un coitus interructus, personalmente l'avrei portata avanti cercando un buono stacco ed un nuovo sviluppo. "How Many People are Looking for Sun" utilizza questa tecnica a metà pezzo, per introdurre un bel giro polveroso di chitarra, senza stare molto a preoccuparsi della sindrome "adesso come facciamo ad unire le due parti”. L'apertura di basso differenzia l'inizio del pezzo, ma non esalta per creatività. Arriviamo alla terza canzone "Leech" che ritengo il main theme di questo "Bectibù" (quando l'ho sentita dal vivo con discreti volumi, le viscere mi si sono rianimate e volevo uscire per pogare...). A parte il riff di chitarra dal vago sapore "kashmiriano" che comunque denota stile, si apprezza l'assolo e la struttura ritmica in toto che fa intuire l'affiatamento musicale del trio vicentino. Chiudo con "Kulba Khan" dove la voce del cantante/chitarrista gioca su tonalità diverse rispetto alle precedenti tracce, e la parte strumentale si inventa riff diversi e più personali per un finale in crescendo che sgomita e spinge per trovare la quiete definitiva. Ho differenziato i voti tra cd e live non per cinismo, ma per rimarcare che "Bectibù" è registrato egregiamente, ma avrei lasciato le chitarre più libere e meno compresse. Il suono grezzo e cremoso del live (che ho sentito io) lo ritengo più adatto al genere. Per il resto consigliatissimo, album da acquistare ovviamente in abbinata ad un loro concerto. Al più presto. (Michele Montanari)

(Self) 
Voto: 75 (85 Live)