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martedì 8 agosto 2023

Big Red Fire Truck - Trouble in Paradise

#PER CHI AMA: Hard Rock
Un bel tastierone in stile “Jump” di Van Halen, apre ‘Trouble in Paradise’ degli australiani Big Red Fire Truck, un quartetto che si presenta come la più classica delle band glam rock anni ’80 (basti solo vedere la cover dell’album), con tanto di membri (un paio almeno) dai capelli cotonati e dai riccioli d’oro. La title track ci consegna un gruppo di musicisti che strizza l’occhiolino a Bon Jovi e già mi sento male. Che diavolo succede, la Bird’s Robe Records che da sempre mi ha abituato ad uscite di un certo calibro in ambiti stilisti decisamente differenti dal qui presente, ora mi propone hard rock che puzza di stantio? Rimango esterrefatto di fronte a questo lavoro, non tanto per i contenuti peraltro triti e ritriti nel corso degli ultimi 50 anni da migliaia di altre band e che quindi per il sottoscritto non hanno più niente da dire, ma per la scelta fatta proprio da parte dell’etichetta di Sydney, lontana anni luce dai propri elevatissimi standard. C’è poi chi afferma che questo genere di sonorità ora vadano per la maggiore, per quanto mi riguarda mi domando in quale galassia questo accada, io questa robaccia non la vorrei sentire nemmeno mentre sto percorrendo la mitica US Route 66, viaggiando a 70 miglia orarie, finestrini abbassati e picchiando con le mani, al ritmo della rockeggiante “Love Bite”, la fiancata della mia super muscle car. Mi spiace, i quattro musicisti di Sydney potranno essere anche bravi a suonare, saranno divertenti dal vivo, magari avranno testi impegnati (ma dubito visti titoli quali “Miami Skies” e “Hot Summer Nights”) ma un genere che ammicca a Def Leppard, Bon Jovi, Poison, Aerosmith e Motley Crue, credo rappresenti esclusivamente la colonna sonora dei miei peggiori incubi. (Francesco Scarci)

(Bird’s Robe Records – 2023)
Voto: 50

https://bigredfiretruck.bandcamp.com/album/trouble-in-paradise

lunedì 1 marzo 2021

Love Machine - Düsseldorf - Tokio

#PER CHI AMA: Garage Rock/Psichedelia
Avevo lasciato i Love Machine con il buon album 'Times to Come' del 2018, perdendomi tuttavia 'Mirrors & Money' nel 2019, che solo di recente sono riuscito ad ascoltare. Nel 2021 i cinque teutonici presentano questo nuovo album intitolato 'Düsseldorf - Tokio', mostrandosi più bizzarri che mai, con un lavoro che presenta una geniale novità, ovvero il cantato in lingua madre, a rimarcare la totale alienità di questa band dai confini classici del rock a cui fanno riferimento. Il canto in tedesco mostra tutta la durezza della sua pronuncia e porta molto bene ai Love Machine perchè, mi si passi il termine, suonano ancor più estroversi e krautrock, anche se decisamente in un contesto di psichedelia assai diversa dal quel filone musicale dei '70s. Le influenze musicali sono molte per la band tedesca e spostarsi dall'easy listening/lounge dei sixties al Johnny Cash di 'Ride This Train' è una cosa quasi scontata, il passo poi risulta breve anche tra il Presley di 'Viva Las Vegas' e certo garage punk'n'roll che, al cospetto del fantasma dei Birthday Party, riportano in vita l'anima malata della band australiana ed in chiusura del disco, sfornano due ottime tracce di rock sgraziato e selvaggio, "That Mean Old Thing" e "The Animal", i soli due brani cantati in lingua d'Albione. Queste due canzoni sono le uniche dotate di una certa scarica elettrica e vitalità ritmica, con cori stralunati e un'indole distruttiva, molto diverse spiritualmente e ritmicamente dal resto delle tracce. Comunque, se in un disco appaiono solo due canzoni veramente ritmate, non vuol dire che il resto sia da buttare anzi, direi che il vero stile dei Love Machine risieda proprio in quelle ballate miti e patinate tra glam, rock sulfureo e sonorità psichedeliche da pseudo figli dei fiori. Inoltre, se aggiungiamo una voce sensuale e profonda come Barry White, che incrocia la tenebrosità di certe interpretazioni a metà strada tra il Blixa Bargeld di 'Nerissimo' e i Crime & the City Solution, le cose si fanno più interessanti. Basta osservare il brano "Hauptbahnhof" dove, al minuto 1:53, nel bel mezzo di un contesto musicale tra il noir e il romantico di una ballata sonnolenta, un glaciale grido disperato cambia le sorti del brano, elevandolo a gioiello di disperazione per antonomasia. Prendendo atto della magnifica e spettrale voce baritonale da oltretomba di "100 Jahre Frieden", dove plasticata felicità e tristezza si fondono per esplodere in un assolo di chitarra tagliente come un rasoio, la proposta musicale diventa molto suggestiva. L'album continua tra sporadiche e assassine stilettate di chitarra, ritmiche allucinate a suon di morbido rock e di tanto visionaria quanto pacata psichedelia. Il tutto è guidato da un'interpretazione vocale impressionante a cura del vocalist Marcel Rösche, che racconta con stile da crooner vissuto, di una città malata e sofferente, vizi e disperazioni presentati con vellutata saggezza e ruvida sfrontatezza in memoria della coppia Bowie/Reed, tra raffinatezza e spazzatura, proprio come descritto nelle note del disco. Un vero album bohémien, che non teme confronti nè paragoni, poiché vive di luce propria e si nutre di una certa originalità artistica sanguigna, cosa che porta la band di Düsseldorf a ritagliarsi una scena tutta propria nel vasto mondo del retro rock. Il che spinge l'ascoltatore a porsi di fronte ad una scelta obbligata, amare od odiare lo stile di questa singolare band. A mio parere 'Düsseldorf - Tokio' è un ottimo album, originale ed interessante, un mondo sonoro tutto da scoprire! (Bob Stoner)

domenica 9 dicembre 2018

Steel Panther - Lower the Bar

#PER CHI AMA: Glam Rock
Un cogitabondo approfondimento della introspettiva poetica pattumiera-glam già esaustivamente affrontata nei dischi precedenti. Immagini oniriche ("Then she tried to suck my balls at her wedding reception" cantato in "Poontang Boomerang") a tratti vertiginosamente fantasiose ("Steal a Saturn 5 and fuck an astronaut / zero G anal and weightless cumshots" in "Anything Goes"), ardite metonimie ("I got what you want baby / five and a half inches of love" in "I Got What You Want") e inestricabili litoti ("Don't have to be a fireman / to ride the pole" in "Walk of Shame"), colte citazioni musicali ("I got a 20 year old wife and she's eager to please / But she made me throw away my Dokken CD's" in "Wrong Side of the Tracks") ed una inaspettata apertura omofobo-fobica ("Is it a chick or is it a dude? / Doesn't really matter if she looks good nude" in "Now the Fun Starts"). Van Halen ("Anything Goes"), Joan Jett ("Poontang Boomerang"), shock rock, Poison. Nel quarto album gli Steel Panther riescono nella impresa quasi epica di mantenere fede al titolo del disco, cioè abbassare ulteriormente l'asticella. D'altronde "all the critics said / our debut record was our peak" ("That's When You Came In"). Se lo dicono loro... (Alberto Calorosi)

(Open E Records - 2017)
Voto: 55

https://www.facebook.com/steelpanther/

venerdì 24 agosto 2018

Wagooba - Total Emotion

BACK IN TIME:
#PER CHI AMA: Psichedelia/Glam
La Loa Rising, nata inizialmente da una costola della nota Lucifer Rising di Steve Sylvester, si prefiggeva l'intento di produrre quei combo che esulavano dai soliti cliché della scena alternativa italiana, portando in superficie stimolanti realtà musicali ancora sommerse. Stimolante è appunto il termine più appropriato per 'Total Emotion', album di debutto dei Wagooba (peraltro rimasto senza un seguito) e prima uscita sul mercato per la Loa Rising. I Wagooba nascono nel lontano 1987 e vantano nella loro line-up, in veste di sensualissima cantante/urlatrice, l'eclettica Stefania D'Alterio, ai tempi caporedattrice di "Mondo Culto" (era un portale dedicato alla "weird culture" e al cinema considerato di bassa lega) e nera sacerdotessa che ha curato per anni rubriche di "cultura apocalittica" per testate quali Psycho! e :Ritual:. Cosa ci si poteva aspettare dalla carismatica Stefania se non un disco dannato, torbido e terribilmente sexy? 'Total Emotion' si presentò al pubblico proprio così, un calderone di sonorità che traeva le proprie influenze dai generi musicali più disparati come street-rock, disco-music, glam e psichedelia ma che, soprattutto, assorbiva la sua viziosità dal gusto per una certa cultura cinematografica porno-trash anni '70. "Mirrorball Love", "Woodoo Wagon", "Overload Jesus", "El Coche Fantastico", la bellissima ballad "Malhombre": un concentrato di brani bollenti ed eccitanti, ricchi di una forte carica sessuale e non privi di una certa ironia, questo è 'Total Emotion'! La colonna sonora della deviazione e della passione, l'ideale punto d'incontro tra la carne e lo spirito che danzano eccitati in un dannato rituale. 'Total Emotion' mi ha spiazzato, stupito, divertito, in un'unica parola emozionato ed emozioni è quello che proverete anche voi appena vi sarete impossessati di questo disco e l'ascolterete... Come and meet Wagooba! (Roberto Alba)

venerdì 29 giugno 2018

Quiet Riot - Road Rage

#PER CHI AMA: Glam/Hard Rock
Il banchetto che spaccia glammaccio sfuso (l'unoduetre introduttivo è micidiale: uno, il singolo "Can't Get Enough"; due, una "Getaway" comicamente introdotta da una specie di... sì, dev'essere un sitar; tre, "Roll This Joint" "Hold each end uh loosely / lick it up and give it a twist", nel caso vi foste scordati come si fa) è collocato esattamente di fianco a quello del ciabattino che vende scarpe da ginnasitica Mike © e Adibas ©. Osservateli entrambi. Osservate il faccino implume del nuovo frontboy James Durbin e ascoltate la sua vociottina mentre se ne sta lì a recitare la parte del cattivone rock sventrapapere. La sensazione sarà la medesima, quella che vi faceva sghignazzare ogni volta che vi capitava sotto gli occhi la bambolottosa copertina di 'Bad' di Michael Jackson. Coretti, liriche evanescenti come Ceres pisciata nel vicolo, elementari riffettoni ggg-osi degnamente accompagnati dai sempre più banali pattern di batteria di Frankie. Emergono al di sopra del pelo del ridicolo liquido la simil-zeppeliniana "Still Wild" e il quasi-power di "Freak Flag", dove non faticherete a individuare (più che) qualcosa di "The Man Who Sold the World". Ma sicuramente non ci riesce la copertina del disco. A emergere dal ridicolo, intendo. (Alberto Calorosi)

(Frontiers Records - 2017)
Voto: 50

https://www.quietriot.band/

giovedì 5 aprile 2018

The Night Flight Orchestra - Amber Galactic

#PER CHI AMA: Hard Rock/Glam, Rainbow
Anche stavolta i riferimenti sono nitidi e ben scanditi: l'hard-glam chiassoso dei Kiss pre-disco ("Sad State of Affairs"), i Rainbow di 'Bonnett' obbligatoriamente in apertura proprio come accadeva nei due dischi precedenti (stiamo parlando ora di "Midnight Flyer") oppure quelli subliminali di 'Rising' (nel finale di "Space Whisperer" un inchino riconducibile a "A Light in the Black"), il 101%-proof-melodic alla J-L Turner (per esempio il singolo "Gemini"), il saxy-rock dei Supertramp mid-settanta ("Just Another Night"). La conclamata similitudine di "Domino" con "Africa" è invece pretestuosa. Piuttosto, allora, con "Pamela" individuerete parecchi Toto-VII-ismi almeno anche in "Josephine". Ma si apprezzi, in ogni caso, la sfacciataggine. Alla terza uscita, il manierismo fluo/dinamico melodic-rock dei T-N-F-O fluisce straordinariamente consapevole nel suo cipiglio ortocentricamente vintage (prima ancora di sentire il disco fate caso alle copertine), eppure impeccabilmente prodotto e sempre freschissimo di idee, ciò che accade piuttosto di rado nel reviviscente, patinatissimo universo nu-melodic. Niente male per un supergruppo che si esprimeva in growling dai tempi dell'asilo. (Alberto Calorosi)

domenica 18 febbraio 2018

Stars at Night - S/t

#PER CHI AMA: Glam/Hard Rock
Già osservando la copertina del disco (un tributo, o più precisamente uno spudorato morphing tra 'Hysteria', Def Leppard classe 1987, e 'Dynasty', Kiss classe 1979) è facile capire dove diavolo siete capitati. Ora non vi resta che capirne il perché. Efficaci chitarrismi Iommi-stoner (efficaci, sì. "Get Up" per esempio ha il groove distante ed elettromagnetico di "Wheels of Confusion") uniti a un'attitudine glam-rissaiola ("Control") a tratti quasi virante verso certo post-punk ("When I Feel Free" per esempio ha più di qualcosina dei Bauhaus) o disco-glam (in "Searching" e in "When I Feel Free" potreste individuare meno di qualcosona dei Kiss più danzerecci). Il giro di accordi che introduce "Shake Me" ripercorre improvvidamente nientemeno che il celeberrimo incipit della quinta di Beethoven. La voce carismatica e impertinente di Irene Quiles si colloca groosso modo, dici poco, dalle parti Ann Wilson (sentite "Spellbinding Love", l'episodio più diabolicamente pop dell'album) ma una produzione impastata (non ruvida, garage o lo-fi. No. Impastata, semplicemente impastata) rischia di dilapidare il buon potenziale delle quattro fanciulle losangeline. (Alberto Calorosi)

(GoDown Records - 2016)
Voto: 70

https://www.facebook.com/STARSATNIGHTBAND1/

giovedì 8 febbraio 2018

Harmonic Generator - Heart Flesh Skull Bones

#PER CHI AMA: Grunge/Glam, Alice in Chains
Reggisen-ballatonze tardo-hair-metallare più (i Tesla con le dita nella presa di "I Feel Fine") o meno folkeggianti (i Bon Jovi dal parrucchiere di "By Your Side") di chiara derivazione zeppeliniana (il glam n' roll IV-zeppeliniano "Dance on Your Grave") intersecate a (opportunamente ammorbidite) istanze grungey (gli Alice in Chains che ascoltano 'Physical Graffiti' sull'ottovolante di "Lamb and Lion") ed estemporanee virate heavy/power (lo Ian Astbury con le adenoidi di "The End"). Il secondo album dei Generatori di Armoniche transalpini (il nome proverrebbe però da un vecchio singolo degli australiani Datsuns), in realtà un concept (quadri)tematico di settantaefottutamenteuno minuti spalmato su quattro ep in tre anni, seppur identitario, mette comunque in mostra una certa istrionica disinvoltura nel manipolare i sottogeneri in questione. Ma la produzione, solitamente appropriata nei numerosi momenti hair/glam, risulta eccessivamente nitida quando ci s'inzacchera nel grunge/comediavolo/nu-grunge. Per bilanciare, ascoltate questo disco a tutto volume con due boccali da birra sulle orecchie. E levatevi dalla faccia quell'espressione idiota. (Alberto Calorosi)

martedì 19 dicembre 2017

Gut Scrapers – Getting Through

#PER CHI AMA: Hard Rock
Devo ammettere che questi Gut Scrapers mi piacciano molto nonostante ci abbia messo un bel po' ad inquadrarli. Con buona soddisfazione, dico che è stato divertente scoprirli nei particolari e capire quanta passione ci sia dietro questa loro proposta. Partiamo subito col dire che se vi aspettate qualcosa di nuovo, avete sbagliato cd, ma pensare alla solita zuppa riscaldata devota ad un banale rock'n roll, alla fine è ancor più sbagliato. La band di Nimes rispolvera in grande stile il culto vero del rock in varie salse, dall'hard'n roll al blues fino allo sleeze con un tocco di grunge e di roccioso metal style da classifica, facendolo in grande stile e con una propria personale, piacevole interpretazione. Il gruppo suona molto bene, si esprime come se gli Screaming Trees volessero imitare Slash, come se Alice Cooper giocasse con i brani storici dello street metal o degli Aerosmith ed è oltremodo interessante vedere come tra gli ispiratori della band ci siano anche i gloriosi Tesla. Così, l'assemblamento da guerra è pronto e pesca in tutti i settori del rock d'annata e in quello moderno, con il tiro sonoro che strizza l'occhio all'ultimo Ozzy e vede riaffiorire splendide chitarre vintage a stelle e strisce rieccheggianti il riff capolavoro di 'Wanted Dead or Alive' del buon vecchio Bon Jovi nelle tracce più melodiche, mentre assoli incandescenti e coretti alla Motley Crue aiutano a sostenere l'alto tasso adrenalinico dei brani cantati da un Thierry Pitarch in splendida forma, che fa il verso ad Alice Cooper, quanto all'oscuro crooner rock, Mark Lanegan. Il tutto condito con quella verve elettrica alla Dogs d'Amour o ai The Quireboys, rockers consumati, di strada, vissuti, che respirano polvere e trasudano energia senza mai dimenticare il concetto di libertà interiore nei confronti di una società decadente, concetti ben espressi nei testi di questo secondo lavoro della band transalpina uscito per Brennus Music e lanciato dalla Dooweet Agency. Esperienza, passione, qualità, una bomba pronta ad esplodere ed essere contagiosa, ottima nella sua proposta musicale quanto nel suo fumettistico artwork di copertina. Un album coinvolgente con brani decisamente trascinanti. Ascoltatevi "Thankful", "Ahead", "Ride" e provate a dire il contrario! Consigliato! (Bob Stoner)

(Brennus Music/Dooweet Agency - 2017)
Voto: 75

https://gutscrapers.bandcamp.com/album/getting-through

domenica 16 luglio 2017

Quick & Dirty - Falling Down

#PER CHI AMA: Stoner Rock
Nel saltellante esordio à-la-Madness 'Falling Down', sospinto da un terribile videoclip fluo-finto-live scimmiottante "Numb" degli U2, sono riassunti, se non i suoni, perlomeno gli intenti fart-glam contenuti nel primo EP della band francese il cui nome allude all'approccio squisitamente parigino al concetto di doccia. Venendo ai suoni, invece, il testavuota-glam finisce per prevalere nella Ki(a)ss-sosa "Would You Like to Dance?" in chiusura, dotata invero di un chitarrismo piùccherobusto. Scorribande extraurbane social-distorte nella gradevole "I Was Born"; in "East West", invece, un riff rock-blues di matrice stoniana introduce ad un cantato collocabile all'incrocio tra Iggy Pop Alley e Jon Spencer Avenue, però opportunamente condito da gradevoli guitar-crudité zeppeliniane. Alchimie consolidate, produzione adeguata e, ovunque, una energia genuina e irriverente, senz'altro ampiamente replicata in quella dimensione live di cui il booklet dell'album intende evidentemente farsi testimonianza. Ascoltatelo a tutto volume durante una doccia clandestina con la vostra baby-sitter. (Alberto Calorosi)

martedì 27 giugno 2017

15 Freaks - Stuntman

#PER CHI AMA: Heavy/Hard Rock, Iron Maiden
Welcome back to Ethereal Sound Works, ovvero l'etichetta portoghese che mette il Pozzo dei Dannati in cima alle testate musicali a cui spedire gli album delle proprie band. Nel nutrito roster della casa discografica lusitana, oggi abbiamo i 15 Freaks, un quintetto fondato nel 2012 e che ha il quartier generale a Sintra, una delle città più belle del Portogallo poiché caratterizzata da lussuosi e stravaganti palazzi colorati costruiti su verdi colline, e atti ad ospitare la nobiltà. Capirete perché il fu Lord Byron la definì il giardino dell'Eden. Ma come sappiamo le anime tormentate degli artisti non trovano mai pace, che vivano nel sobborgo più triste di qualche austera città dell'est Europa o a ridosso di una spiaggia dalla sabbia abbagliante e acque cristalline. Questo dimostra come l'uomo cerchi in tutti i modi di raccontare la propria verità, scavare nel profondo dei sentimenti, gridando e mettendo in musica le ingiustizie a cui siamo sottoposti ogni giorno. Dopo un po' di elucubrazioni mentali torniamo alla band, nata più di quattro anni fa, ma che solo alla fine dell'anno scorso è riuscita a dare alla luce l'EP di debutto, questo 'Stuntman' appunto. Le tracce sono cinque e sono il prodotto di musicisti che hanno divorato la musica di Iron Maiden, Led Zeppelin, The Cult, Aerosmith e quant'altro, quindi quando ascolti tanto buon hard rock, che cosa può nascere durante le sessioni in sala prove? Lascio a voi l'ovvia risposta e passiamo in rassegna le canzoni: "Time Flies" è una song costruita su riff orecchiabili, ritmica trascinante e tutti gli orpelli del genere, come assoli e cantato potente. La title track cambia registro e mette una marcia in più alla band, che dopo un pieno di adrenalina ad alto numero di ottani, decolla e si lancia in picchiata. Le chitarre sono ben suonate, il suono convince e si amalgama bene con la tumultuosa sezione ritmica ed il basso pulsante. Un tuffo nel passato che ti fa venir voglia di prendere il gilet in pelle e rispolverare la vecchia Harley riposta in garage. Quasi cinque minuti di hard rock che si concludono con un finale in stile live con la classica gran rullata. "15 Freaks" è l'omonima traccia dal groove assai orecchiabile, con quel tanto di hair metal e glam che si intrufola nel cervello e si attacca al vostro tronco celebrale per restarvi a lungo. Ben fatti anche gli arrangiamenti che a fine ritornello danno un tono oscuro al sound, mostrando le altre sfaccettature del brano e della musica prodotta dalla band portoghese. "Crazy Randy" sembra uscita direttamente da un side project degli Iron Maiden, con una progressione strumentale ed un cantato che si avvicinano molto alla band di Steve Harris e soci. La canzone è anche la più lunga dell'EP e qui la band infonde tutto il proprio bagaglio artistico, dando fondo al repertorio di assoli e riff senza bisogno di alcun break per sostenere una traccia corposa e solida. I 15 Freaks non vincono sicuramente il premio come miglior band innovativa, ma dimostra tuttavia che l'attitudine ad un genere che tanto ha dato alla musica, regala sempre grandi emozioni. Speriamo solo che i nostri possano ricevere le soddisfazioni che si meritano. (Michele Montanari)

(Ethereal Sound Works - 2016)
Voto: 70

https://www.facebook.com/15Freaks/

domenica 25 giugno 2017

Steam Morrisler - Odds & Ends

#PER CHI AMA: Glam Rock, Motley Crue, Aerosmith
Un'altra band arriva da oltralpe, dalla sempre più prolifica terra dei nostri cugini galletti. Si tratta questa volta dei Steam Morrisler a proporci il loro EP di debutto, 'Odds & Ends', che include quattro pezzi all'insegna di un rock che sa tingersi di pop ma anche di stoner psichedelico. Se la opener "Red Voodoo Babe" riesce a strizzare l'occhiolino ad un certo rock'n roll anni '70 che chiama in causa gli Aerosmith, riletti ovviamente in una chiave contemporanea, la successiva e mia preferita "Under Acid Elephants", mette in scena i riferimenti psych stoner del quartetto di Parigi. Pur non proponendo certo musica originalissima, gli Steam Morrisler hanno da offrire una proposta godibilissima che in questa seconda song evoca, nel suo azzeccatissimo andamento tribale, anche un che degli Alice in Chains. "Hoodoo Tale (How The Devil May Care)" è una traccia dall'andamento strano: inizia fiabescamente quasi fosse la colonna sonora di "Fantasilandia", per poi muoversi con un andamento un po' psicotico tra voci pazzoidi, sonorità imprevedibili, stacchi rock'n roll e riffoni più pesanti. A chiudere il dischetto arriva "Heroin Jenny", forse il brano meno azzeccato dei quattro, che ricorda quanto i nostri siano anche legati al glam rock americano di Motley Crue e soci. Lavoro divertente per una ventina di minuti votati al rock'n roll. (Francesco Scarci)

(Self - 2017)
Voto: 65

http://www.steammorrisler.com/

sabato 5 novembre 2016

Katana Bloom - Football Won't Save Your Children From Drugs

#PER CHI AMA: Punk Rock, Glam
Primo album, dopo l’EP 'Gosthing', per questo quartetto veneto a cui di certo non difetta l’energia e l’entusiasmo. Prima ancora della musica, i titoli dell’album e dei singoli brani, mettono bene in chiaro quali siano le coordinate a cui puntano i Katana Bloom: da pezzi chiamati "American Girls in Holidays (in Europe)" o "F.E.A.R." (che sta per Fuck Everything And Run) non è lecito aspettarsi nulla di più che puro divertimento cazzone e sguaiato all'insegna del disimpegno totale. La musica asseconda a meraviglia questo spirito con un approccio goliardico di stampo punk-rock, condito da affilati riff hard rock, melodie semplici ed efficaci, assoli veloci ed aggressivi, il tutto lanciato a rotta di collo lungo 10 tracce e poco più di mezz'ora. L’insieme appare come un mix tra hard, glam e street rock che ricorda tante cose sentite tra gli anni '80 e '90, sicuramente efficace e divertente pur senza essere particolarmente originale. Il punto è proprio che un po’ tutto qua dentro, suoni come già sentito e pure un tantino stantio, e le scelte di produzione non aiutano certo ad inquadrare nel migliore dei modi il suono del gruppo, indeciso se mantenersi aderente ai canoni dell’hard rock stile Def Leppard o sporcarsi fino in fondo sul modello dei primi Hellacopters, finendo per rimanere inevitabilmente a metà del guado. Sono sicuro che i Katana Bloom siano molto trascinanti e divertenti se visti dal vivo, ma questo album lascia un po’ l’amaro in bocca, come quei fuochi d’artificio che si comprano in edicola per la notte di capodanno, che immediatamente fanno una bella fiammata rossa, ma che si spengono proprio quando ti aspettavi che prendessero il volo. (Mauro Catena)

(Self - 2016)
Voto: 60

venerdì 7 ottobre 2016

Higher Than - Purgatory Airlines

#PER CHI AMA: Hard Rock
Gli Higher Than sono un quintetto parigino di recente formazione nato, come spesso accade, dalle ceneri di un'altra band che vedeva coinvolti alcuni dei musicisti in questione. 'Purgatory Airlines' è il loro album di debutto, tredici brani di puro hard rock che trasuda stile e suoni anni '80-90, arricchito da samples e qualche linea di synth sparsa qua e là. Sulla scia del titolo, la band ha incentrato grafica, testi e foto a tema aeronautico, quasi a voler sentirsi come gli Iron Maiden con il loro gioiello Ed Force One. Idea carina, con la giusta dose di teschi e angeli a completare l'appeal arcano e mortuario. Ma passiamo alla musica e buttiamoci a capofitto nell'ascolto di questo lavoro. Quando menzionavo Iron Maiden, la similitudine era abbastanza azzeccata, i brani ricordano icone come Judas Priest, Motley Crue e Skid Row. Ritmiche veloci, distorsioni compatte e vocalist dalla timbrica squillante completano il format, un prodotto fuori dal tempo considerando il trend musicale di questi tempi. "Broken Tales" è il perfetto riassunto di quanto appena detto, un brano veloce e carico, con un susseguirsi frenetico di riff, acuti e cori che ci fanno venir voglia di tirare fuori i vecchi gilet di jeans tappezzati di patch storiche. La perfetta colonna sonora di un vecchio film pieno di chopper e belle donzelle scosciate che ti attirano languidamente dondolandoti davanti agli occhi una bella bottiglia di Jack Daniel's. Un concentrato di testosterone che si mischia a qualche accrocco moderno, infatti i samples trovano si spazio, ma non riescono ad emergere e sembrano degli orpelli messi a forza su una struttura ben fatta. La title track cambia leggermente rotta, con distorsione più moderne, arrangiamenti meno vintage, ma sempre con un feeling che richiama l'hard rock dei tempi d'oro. La progressione musicale si sposta sullo stile dei Def Leppard con una sfumatura di malinconia, come se il viaggio verso il purgatorio non sia proprio in business class. La ballad che gli Higher Than includono in questo full length è "Near & Far", un'ottima prova con chitarra acustica ad ottimi livelli, quasi a voler bissare una hit come "More Than Words" degli Extreme. L'aggancio alla parte elettrica arriva comunque presto, con tanto di aggiunta di archi a pompare ancora di più il pezzo. Il resto dei brani si conferma ben equilibrato a testimoniare che la band padroneggia il sacro fuoco del rock e non ha paura di confrontarsi con le molte band che li hanno preceduti e le poche che continuano su questo filone. E hanno ragione, 'Purgatory Airlines' alla fine è un buon album che non ha grossi difetti se lo si assapora con la voglia di ascoltare un classico del genere. Vista la voglia di introdurre elementi moderni come synth e loop vari, se i nostri credono in questo approccio per svecchiare la loro musica, allora è meglio impegnarsi di più e tirar fuori soluzioni più convincenti. (Michele Montanari)

domenica 25 settembre 2016

Harmonic Generator - Flesh

#PER CHI AMA: Hard Rock, Aerosmith
La Francia si sa, vanta scene musicali differenti, dall'elettronica al metal e anche quella rock resiste, magari con qualche difficoltà nel trovare musicisti che siano in grado di riportarla in auge. Gli Harmonic Generator (HG) ci provano da otto anni e da poco sono usciti con questo EP che segue altri quattro lavori precedenti. 'Flesh' ci è arrivato nel classico CD sleeve cartonato, dalla grafica semplice con predominanza del giallo e nero. Una volta inserito nel lettore, ci appaiono quattro tracce per un totale di circa diciotto minuti di rock in stile anni '90, ovvero un mix di glam e hard rock pulito e pettinato. I suoni infatti sono fin troppo da bravi ragazzi, distorti ma non eccessivamente, così da piacere un po' a tutti ed evitare di essere ascoltati solamente dai patiti del genere. Probabilmente una mossa che avrebbe dato qualche frutto in passato, da un po' le statistiche dimostrano che il metal è uno dei generi più ascoltati su Spotify e quindi le situazione simil-pop rischiano di cadere nel dimenticatoio assai presto. In realtà, i brani sono anche ben fatti ed equilibrati, come "Dance on Your Grave", una ballata rock con molto groove e riff civettuoli che stimolano i fianchi delle giovani pulzelle pronte a scatenarsi sul dance floor. Il vocalist si destreggia bene tra strofe e ritornelli, la timbrica è piacevole e adatta al genere, lo stesso vale per i musicisti, che senza perdersi in sezioni ultra tecniche, riescono a portare a casa un brano adrenalinico e dinamico. "Secret Garden" piace per le sonorità simil Bon Jovi e Aerosmith, la partenza è più minimal con chitarre al limite del crunch, stacchi che permettono di riprendere fiato (non che ce ne sia bisogno) e allunghi con classici assoli di chitarra e pattern veloci di basso/batteria ben intrecciati. Un buon EP, leggermente nostalgico per chi ha superato i trent'anni e vuole rituffarsi in sonorità di qualche anno fa, ma è una valida alternativa per chi vuole rifornire la proprio collezione con materiale nuovo. (Michele Montanari)

(Self - 2015)
Voto: 65

http://www.harmonicgenerator.com/

lunedì 11 luglio 2016

Vita Museum – Frozen Limbo Zero

#PER CHI AMA: Alternative/Electro Rock/Gothic/Indie
Con un artwork sinistro e alquanto gotico, si presenta egregiamente al pubblico questo quartetto italo-britannico di base a Londra che, formatosi nel recente 2014, senza perdere tanto tempo e cavalcando l'onda della creatività più immediata, nel 2015 ha fatto uscire il suo primo lavoro, distribuito dalla visionaria Sliptrick Records. Stravagante e contraddittorio sono i due termini che potrebbero definire questo 'Frozen Limbo Zero' a cui aggiungerei anche astuto e coraggioso. In realtà la band sa perfettamente dove andare con la propria arte anche se lo fa in tutte le direzioni musicali possibili, pur di farsi notare. Diciamo che al primo ascolto, si rimane leggermente disorientati dal sound del quartetto che non si riesce bene a mettere a fuoco, inquadrandolo in un genere ben definito. Fin da subito però, si ha l'idea di aver a che fare con una musica ricercata, piena di ambiguità e assai creativa. Non è un tabù per questa band parlare di glam rock moderno, in sintonia con i migliori Sixx:A.M., con quel sound carico di pop ma pur sempre legato all'hard rock tossico e malato quanto lo poteva essere Marilyn Manson ai tempi di "Sweet Dreams", irradiato dal nu metal tecnologico dei Linkin Park, da soluzioni elettroniche di certe frange più morbide dell'EBM e del rock trendy dei 30 Seconds to Mars. Un mix di generi rivisitati da un'angolatura spigolosa e alternativa come lo è ad esempio la musica dance punk dei Death From Above 1979. "Somebody to Destroy" è il singolo perfetto corroborato da un video immerso in un'ambigua oscurità che inganna e attrae la vista dell'ascoltatore, una musica pop dal ritornello rock carico di groove che ammicca alla gettonata "Souljacker" degli Eels ma che potrebbe essere un brano dei T-Rex passato tra gli acidi dei Primal Scream di 'Riot City Blues' o tra il rock elettronico dei Manic Street Preachers di 'Futurology'. Il brano "Alive" macina i contesti musicali dei Paradise Lost, epoca 'One Second', in una veste elettro wave alla IAMX, scatenando la mia incomprensione, ma facendosi comunque apprezzare per il gusto e le qualità non superficiali con cui la band si dedica a brani radiofonici, creando delle vere hit da classifica. "Leave Me" delizia con ricordi semiacustici del rock da incubo del buon vecchio Manson, cosi come la seguente "Never Be the Same", anche se qui manca il peso della sua perversione e i Vita Museum finiscono per assomigliare a degli Stone Temple Pilots ultimo periodo, filtrati da un effetto pregevole stile radiolina anni sessanta, quello della partita della domenica pomeriggio per intenderci. Da qui il sound si fa sempre più sintetico e la rarefatta malinconia di "Alone", introduce la triste cadenza alternativa di "Another Time, Another You". A cavallo tra svariati generi e sfacciatamente senza remore verso i puristi del rock, i Vita Museum sfoderano dodici brani tutti da cantare a squarciagola, contribuendo alla contaminazione del rock a tutto tondo. Incuranti delle etichette e apertamente predisposti allo star system più scandaloso e glamour, i Vita Museum scardinano i canoni del classic rock e del metal, abbracciando indie ed elettronica di varia natura, addirittura il pop nella sua forma migliore, dando vita ad un album intelligente e motivato, anticonformista (non certo innovativo) ma sicuramente personale e curato. Da ascoltare e gustare a più non posso. (Bob Stoner)

sabato 12 marzo 2016

Ex - Cemento Armato

#PER CHI AMA: Heavy/Rock
Gli EX sono una band hard rock nata nel 1997 con componenti attivi addirittura dai primi anni '80 in precedenti progetti come Spitfire, Exile, Vertigo, Slan Leat, Frenetica, X-Hero e Madreterra. Quello che contraddistingue la band è l'amore viscerale per il rock, l'amicizia che li unisce e lo spirito di una vita presa in modo positivo e goliardico. Il loro bagaglio musicale è influenzato da sonorità anni '70 e '90 che la band ha volutamente fuso e forgiato a propria immagine, autodefinendosi autori del cosiddetto "pasta rock", facendo ovviamente riferimento a quel "spaghetti" che spesso viene attribuito alla produzione artistica italiana. Detto questo, il quartetto veronese ha autoprodotto tre album, uno poi sotto la VREC/Atomic Stuff e l'ultimo 'Cemento Armato' grazie a Andromeda Relix/Nerocromo. Il cantato in italiano divide sempre i fan, personalmente non sono prevenuto e nel caso degli EX, i testi sono un mix di cantautorato semi impegnato e la pura goliardia, quindi si presume che i nostri abbiano preferito quest'approccio per mantenere una connessione più forte con il pubblico. I brani contenuti nel jewel case sono undici e da bravi rocker, vanno dalla classica cavalcata adrenalinica ("Weekend") all'immancabile ballad strappa lacrime ("Cane Bastardo"). La prima appunto è un misto di hard rock e glam da baldoria, con riff assai scontati e testi in salsa sociale contro la durata del fine settimana (!!). Da un punto di vista tecnico, i musicisti se la cavano bene, il mood c'è tutto e l'insieme scorre fluido e piacevole per l'udito. La qualità dei suoni è scarna, volutamente o no è in linea con il genere, soprattutto se non si vuole essere troppo pignoli e si apprezza più il groove in se stesso. "Cane Bastardo" invece mette in luce il lato blues/malinconico degli EX, insieme ad un cantato che ricorda i Timoria dei vecchi tempi. La ritmica lenta rende le parole pesanti come massi, pensando al passato e alla giovinezza ormai sfumata. Power cord e riff stoppati rincarano la dose, anche se manca uno spunto che permetta al brano di spiccare il volo con una propria definita personalità. Con "I Shot the Chef" si torna alla vena ironica della band, prendendo spunto dal famoso brano di Bob Marley e trasformandolo in una progressione heavy metal che parla di cucina e situazioni paradossali. Anche qui gli arrangiamenti puzzano di già sentito, però sono comunque ben eseguiti tecnicamente, cosi come gli assoli e i fraseggi basso/batteria. Ci sono modi diversi di affrontare un album e per una band come gli EX, ritengo che quello più adatto sia di apprezzarli per quel loro spirito rock che li ha portati a vivere la musica con passione, amicizia e ironia, sfidando il music business che spesso impoverisce il sacro fuoco del rock'n'roll e rovina i rapporti tra compagni di avventura. Dopo tutto se fossero stati una cover/tribute band non sarebbero nemmeno arrivati sulle pagine del Pozzo dei Dannati, quindi sono già dei vincitori per questo. (Michele Montanari)

(Andromeda Relix/Nerocromo - 2015)
Voto: 65

giovedì 19 dicembre 2013

The Roadless - R-evolution

#PER CHI AMA: Glam Pop Rock
I veneti The Roadless tornano con il nuovo album 'R-evolution' dopo aver trascorso gli ultimi due anni a consolidare la line-up e farsi le ossa sui palchi della nostra madre patria. Grazie alle svariate collaborazioni che si leggono all'interno del cd (un jewel case ben curato a livello grafico) e avere concluso l'album presso uno studio di Londra, i The Roadless si giocano le carte giuste per fare il fatidico salto di qualità e visti tutti gli sforzi, sembrano crederci fino in fondo. Le dieci tracce sono un excursus tra sonorità diverse, dal glam rock che si sente soprattutto nelle linee vocali (il buon Jon Bon Jovi dei primi album ha fatto scuola) e il brit spensierato, specialmente per le chitarre e la parte ritmica in alcuni spunti. Volendo aguzzare l'orecchio, ci troviamo anche del funk, ma non è questa la direzione intrapresa dalla band. Il cantato in inglese e i testi non particolarmente complessi chiudono la ricetta per il successo dei The Roadless. Il cd apre con "No Excuses", grancassa che scalcia, bei riff di chitarra e via, tutti dietro al ritmo trascinante di basso e batteria che non vogliono essere in secondo piano. Gli arrangiamenti sono studiati bene e hanno l'obiettivo di rendere la traccia (ma non solo questa) più godibile e catturare in primis un pubblico non abituato a sonorità estreme. Certo, non brilla di originalità, ma chi la cerca oramai? "Pearls" ha un bell'arpeggio iniziale che lascia spazio troppo presto ad uno svolgimento pop, pur se fatto con stile. Chiudo con "What if", gran pezzo che graffia a livello di riff e voce, ben tirato come una muscle car che romba e tuona tra le luci della notte. Anche qui tutto al posto giusto, in particolare si apprezza la parte ritmica che da la giusta carica al pezzo. Complimenti, così si fa. Che dire, i The Roadless sono ottimi musicisti con le idee chiare, quindi otterranno sicuramente altri risultati degni di nota. Cercherei solo di essere meno trasformista nello stile e punterei ad ottimizzare i live, lasciando a case le cover e le ballate. Il popolo esige più rock, originale se possibile. (Michele Montanari)

giovedì 24 ottobre 2013

Aruna Azura - A Story of a World's Betrayal

#PER CHI AMA: Brutal Death/Jazz/Progressive/Hard Rock
Murmansk è la più grande città del mondo posta all'interno del Circolo polare Artico e anche la città che ha dato i natali a questi stralunati Aruna Azura. Li appello in questo modo perché il primo pensiero che ho fatto ascoltandoli, è stato “suonano dannatamente come gli Infernal Poetry”. Proprio la band nostrana infatti rappresenta la maggiore influenza per questo quintetto dedito a sonorità techno death progressive, che esce per la Metal Scrap Records. Si parte con “Rites” e già mi sembra di essere sulle montagne russe, con le chitarre, schizoidi, che si rincorrono tra sali e scendi da urlo e le vocals belle corrosive. Ma con l’inizio di “Disaster Lullaby” non vi è già più traccia delle influenze riscontrate nella opening track. I ritmi sono lenti, delicati, con la voce che passa con una certa disinvoltura dal growling terrificante al cleaning e le ritmiche che piano piano acquisiscono una maggiore grinta per tornare a pestare in modo convulso e disarticolato, con un break affidato ad una chitarra spagnoleggiante ed un finale in cui convergono una miriade di influenze, decisamente estranee al metal. Disorientato da questa ninna nanna, passo a “Empty Dawn”, smanioso di capire quali diavolerie ha da offrirmi questo cd. Il suono di una radio trasmette programmi confusi, la frequenza si aggiusta e nelle orecchie mi ritrovo un’altra band, dedita a sonorità space rock progressive, con una voce pulita che francamente non si dimostra di buon valore. Calma ragazzi, tanto la sorpresa è dietro l’angolo e i ragazzoni russi ci prendono per i fondelli ancora una volta, offrendoci un mix tra death metal, hard rock e glam. Fate voi. Preparazione tecnica superlativa, ottime le linee di chitarra, un po’ confuso l’utilizzo delle tre modalità vocali, la produzione forse è un po’ troppo ovattata. Sono disorientato perché riesco ad apprezzare (e tanto) questo disco, solamente a tratti. Alcuni frangenti (quelli più ruffiani) sono di bassa digeribilità e cosi la seconda parte della terza traccia diventa inascoltabile, tanto da spingermi a skippare alla successiva “Substance”. Il rombo di un motore di una moto apre la song, accompagnata da un riffing sincopato, a tratti brutale. Gorgheggi cavernosi si alternano a un cantato stridulo e contestualmente la musica si infila tra queste maglie, passando da un feroce riffing serrato ad aperture rock. Diavolo, mi piace. Non mi piace più. Come devo fare per assimilare questo lavoro? Invito anche voi a dare un ascolto a questo disco perché anche gli undici minuti di “Let Them Live” non mi sono certo d’aiuto, soprattutto quando nel tessuto della song compare Louis Armstrong con ”What a Wonderful World”. Troppa carne al fuoco e forse miscelata non proprio nel migliore dei modi. Gli Aruna Azura, forti del loro isolamento nell’estremo nord, hanno messo insieme in un bel calderone, le influenze provenienti dai mondi più disparati: jazz, brutal death, progressive, thrash convergono in un esplosivo concept relativo ad un viaggio in differenti mondi, ove ormai giace il ricordo di una civiltà che si è autodistrutta... (Francesco Scarci)

(Metal Scrap Records - 2013)
Voto: 70

https://www.facebook.com/arunaband

sabato 12 maggio 2012

My Sixth Shadow - 10 Steps 2 Your Heart

#PER CHI AMA: Love Metal, HIM, The 69 Eyes
Per lo spazio “Back in Time”, andiamo a pescare il debutto tanto atteso dei My Sixth Shadow! La band che nel 2002 aveva raccolto così tanti consensi presso tutte le testate giornalistiche italiane, torna a breve distanza dal demo-cd “Sacrifice” con l'esordio discografico “10 Steps 2 Your Heart”. Freschi di un nuovo contratto con la tedesca Voice of Life Records, i sei ragazzi romani si apprestano ad esportare il proprio nome oltre i patrii confini e ad accrescere sempre di più quel seguito di estimatori che il loro gothic metal è riuscito a conquistare in così poco tempo. Anche se la tracklist dell'album riporta un totale di dieci brani, “10 Steps 2 Your Heart” non va inteso come il vero e proprio full-length ma piuttosto come un assaggio di quali siano le attuali capacità del gruppo: i pezzi nuovi sono infatti solo quattro, a cui si aggiunge una cover di “Rain” dei Cult e le cinque tracce dell'acclamato demo-cd “Sacrifice”. Dall'ascolto di “Intoxicate My Heart” salta subito all'attenzione il notevole miglioramento del cantato di Dave, il quale dimostra di sapersi inserire con maggior grazia tra le note dei nuovi brani. Inoltre i passaggi più movimentati vengono interpretati con un'impostazione vocale grintosa e decisa, del tutto priva di quelle stucchevoli "scivolate" in cui lo stesso Dave si era imbattuto in passato nell'affrontare certi acuti. Proseguendo con “Death is My Rebirth” e “Throw Me Away” l'impressione è quella di assistere alla fusione della tradizione glam-rock americana (Mötley Crüe, Skid Row e Cinderella su tutti) in un contesto più attuale, che può trovare un'attinenza con le melodie romantiche e affilate di HIM e The 69 Eyes. I My Sixth Shadow non possiedono ancora la maturità e lo charm delle due band finniche ma “10 Steps 2 Your Heart” si presenta ad ogni modo come un lavoro ricco di brani d'impatto e dai cori facilmente memorizzabili, con un'attenzione particolare riposta nella scelta delle melodie e nell'uso sempre parsimonioso dei synth. Un lavoro, insomma, che nonostante qualche sbavatura qua e là può costituire un punto di partenza ottimo per avvicinarsi al pubblico gothic-metal. Consigliandovi di tenere d'occhio questi ragazzi, vi anticipo anche che la band è già al lavoro sulla registrazione delle dodici nuove tracce di “Love Fading Innocence”, full-length che vedrà la luce per gli inizi del 2005. (Roberto Alba)

(Voice of Life Records)
Voto: 70