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mercoledì 13 giugno 2012

Shyy/... - The Path Toward Forgetfulness

#PER CHI AMA: Shoegaze, Black, Infinitas, Heretoir
Cina, Italia, Brasile. È su questa inedita asse d’alleanza, che si sviluppa il qui presente split cd, che vede i brasiliani Shyy, condividere la scena con i nostrani … (DotDotDot), sotto l’egida della sempre più presente Pest Productions, intraprendente etichetta cinese. E allora, passiamolo in rassegna questo interessante lavoro, che si vede aprire con il trittico di songs firmato dall’act sudamericano, che propone uno shoegaze di chiara derivazione francese. Soffermiamoci sicuramente su “Her, Her Landscapes” che segue la pseudo intro di “That Soul is an Empty Cue” e godiamo appieno la proposta dei nostri che, a livello melodico, sembra configurarsi come una versione un po’ più veloce dei The Cure più solari, con le vocals che seguono, nella versione più pulita, i dettami di gente come Les Discrets e Alcest, prima di cedere il passo ad uno screaming in realtà mai troppo esasperato, ma piuttosto sofferente. Folgorato. Positivamente. La proposta del combo carioca mi ha letteralmente conquistato per la squisitezza delle sue accattivanti melodie e per la sua incapacità, in senso buono ovviamente, di essere violento. Il tutto viene confermato anche con la successiva “Sobriety”, che suona però come una sorta di lunga outro, tra sonorità aliene e ripetitivi giri di chitarra; peccato però che si esaurisca cosi velocemente, senza che il sottoscritto sia in grado di dare una valutazione, a più ampio spettro, della performance della band. È il turno dei fantomatici DotDotDot, il cui trittico di song, aperto da “Ascending to the Night Sky”, si presenta con un riffing apparentemente più caotico dei colleghi, prima di assumere una propria linearità, sul cui sfondo si scontrano le vocals in duplice veste, scream e clean. È comunque il totale approccio d’improvvisazione a tenermi incollato allo stereo, in quanto, il combo italico gioca con repentini cambi di tempo, che sanno di avantgarde, ma anche di divagazioni più propriamente jazzistiche, contaminato dalla vena dark alternative dei Klimt 1918. Mi rendo conto di aver messo tanta carne al fuoco, ma la colpa, anzi il merito, non è certo mio. I tre “puntini di sospensione” non lasciano nulla al caso, non sono certo banali e, oltre ad evincerlo dall’inusuale nome della band, lo si deduce anche dalla seconda “Like Shooting Stars”, che dopo un’apertura “romantica”, si abbandona allo screaming schizoide del suo vocalist (a cui chiedo di migliorarne leggermente lo stridore), prima che i nostri, ancora una volta, si incanalino in un vortice musicale multi sfaccettato, che a livello vocale rischia addirittura di evocare lo spettro dei californiani Dredg, su uno sfondo musicale che non dà alcun punto di riferimento. Splendida traccia. Giungiamo alla conclusione di questo lavoro, affidando il tutto a “Vanishing Among Tides”, altra perla di profonda malinconia che mi spinge a saperne di più di queste due vibranti band. Peccato solo per il basso numero di tracce proposte, altrimenti sono certo che il mio voto avrebbe sfondato ampiamente il muro degli 80! (Francesco Scarci)

(Pest Productions)
Voto: 75