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venerdì 18 gennaio 2019

Doomed - 6 Anti-Odes to Life

#PER CHI AMA: Death/Doom, primi Paradise Lost e My Dying Bride
'6 Anti-Odes to Life' è il sesto album per l'artista teutonico Pierre Laube, il quarto recensito sulle pagine del Pozzo. Da sempre tessiamo le lodi del mastermind sassone, non possiamo pertanto esimerci dall'elogiare anche questo nuovo lavoro, che forse rappresenta la summa della discografia dei Doomed. Il sound del factotum tedesco, qui aiutato alle chitarre da quello che ipotizzo essere il fratello, Yves Laube, da Ina Lüdtke al basso e da tutta una serie di guest star (Willian Nijhof dei Faal, Andreas Kaufmann dei Charon e Uwe Reinholz), prosegue con quel suo flusso sonico dedito ad un death doom atmosferico che s'incanala fin da subito nelle note della lunga "The Doors": nove minuti di melodie dal forte sapore malinconico che evocano gli esordi di My Dying Bride e Paradise Lost, senza dimenticare le strazianti linee di chitarra di un altro grande gruppo nell'ambito, i Saturnus. I Doomed però hanno carattere a sufficienza per divenire ben presto un altro pilastro per questo genere, coniugando delle ottime sonorità con un impianto vocale che si muove altrettanto bene tra un growling profondo ed un pulito assai convincente. La chitarra acustica di Uwe in apertura di "Aura" chiama in causa gli Anathema di 'The Silent Enigma', cosi come pure la ritmica che s'innesca dopo il delicato pizzicare della 6-corde. Ampio spazio poi è affidato alla musica, sempre sognante, delicata e nostalgica, che vede la componente melodica accrescersi ulteriormente rispetto alle ultime release, anche grazie ad una proposta musicale che non esce mai dal seminato e si mantiene su un mid-tempo sempre ottimamente bilanciato. La musica si fa più minacciosa con "Touched", una traccia dal piglio iniziale vagamente post-black e da una ritmica potente definitivamente death; ottime anche le spettrali melodie di tastiera e le spoken word, cosi come il fluttuante ed ipnotico incedere della song che in undici minuti ne combina un po' di tutti i colori, visti i vari cambi di tempo, di cantato o un assolo virante al progressive, che sancisce l'accresciuta autostima della band. Un'inquietante base percussiva apre "Our Gifts": qui il pianoforte accompagna con raffinatezza, i tamburi ed una calda voce, mentre progressivamente entrano in scena anche le chitarre, in un brano che sa molto dei primi Riverside (fatto salvo quando riappare il cantato growl). Prova notevole, che merita qualche ascolto in più per essere capito nella sua interezza, visto che rimangono ancora da ascoltare la liturgica "Reason", lenta ma avvolgente nel suo solenne avanzare, con le vocals pulite che emulano quelle del mastermind dei Septicflesh e le chitarre che si confermano ancora una volta ispirate dal prog. "Insignificant" è un'altra perla di oltre 10 minuti di death doom di stampo '90s come i primi Anathema erano soliti fare. Diciamo che rispetto alle precedenti song, questa, più legata alla tradizione, rimane un gradino sotto le altre, tuttavia è innegabile la classe del combo germanico, soprattutto per la scelta di accompagnare la ritmica pesante con quella splendida chitarra acustica in background in un finale arrembante davvero violento (ancora al limite del post-black). A chiudere il disco, ci pensa l'ambient di "Layers (Ode to Life)", che sebbene i suoi sette minuti, funge fondamentalmente da outro del cd, uscito sia in formato digipack che standard. Insomma, altro gioiellino rilasciato dal buon Pierre, che a questo punto non dovete farvi assolutamente scappare. (Francesco Scarci)

sabato 3 ottobre 2015

Doomed - Wrath Monolith

#PER CHI AMA: Death/Doom
A Gennaio avevo recensito 'Our Ruin Silhouettes': l'instancabile sassone Pierre Laube, mastermind dei Doomed torna prontamente con un nuovo album pregno di sonorità doom/death metal. Se non conoscete il personaggio, Doomed è un progetto solista dove Pierre si occupa di scrivere i pezzi, suonarli ed arrangiarli, facendosi supportare da fidati compagni solo per le esibizioni live. 'Wrath Monolith' contiene sei tracce per un totale di cinquanta minuti ed è arrivato tra le mie mani in versione semplificata per gli addetti ai lavori, quindi non posso dire granché sul packaging. La grafica della copertina riprende gli album precedenti, con l'utilizzo del colore verde pallido e del nero con rappresentazioni stilizzate di demoni e paesaggi onirici con richiami alle religioni. Questo per dire che Doomed non si fa coinvolgere dalla frivolezza che spesso attanaglia il mondo della musica, ma vuole comunque trasmettere i sui pensieri e gli stati d'animo più profondi e ossessivi. Come anticipa il titolo, l'album vuole essere come un monolito, costruito e innalzato in onore dell'ira, il sentimento che probabilmente ha inspirato Doomed per la scrittura di questi sei brani. Il primo pezzo che ci accoglie dopo l'inserimento del cd nel lettore è "Paradoxon", una breve intro malinconica di pianoforte che lascia subito lo spazio per l'attacco pesante e lentissimo degli altri strumenti. Le protagoniste musicali sono le chitarre, distorte e ribassate per fare da tappeto sonoro ai brani e poi l'onnipresente chitarra solista che, come un navigato cantastorie, conduce l'ascoltatore attraverso le melodie che si intrecciano durante i dodici minuti abbondanti della canzone. Ottimi gli arrangiamenti che sanno tramutare le melodie tenebrose in riff meno ossessivi e che lasciano intravedere una luce in fondo al tunnel. A metà brano c'è un break che di fatto sancisce la rottura con la precedente parte, una sorta di atto secondo, dove la voce duetta tra sé e sé a suon di growl. La batteria si inserisce sempre in maniera impeccabile, utilizzando spesso una grancassa ossessiva aumentando il senso di oppressione che imperversa per tutta la traccia. Un brano che fa da biglietto da visita e mette subito a tacere qualunque dubbio sull'ipotesi che l'artista abbia voluto introdurre qualche novità rispetto ai precedenti lavori. "The Triumph - Spit" apre con il verso di un corvo che come uno psicopompo annuncia l'entrata dell'immaginario carrarmato devastante che stritolerà qualsiasi cosa con i suoi cingoli infernali. I riff di chitarra sono in pure stile death e sono semplicemente sopraffini, inoltre la leggera linea di tastiere arricchisce il brano con atmosfere eteree. La voce conduce, cosi come negli altri brani, con un fare iracondo e senza l'ombra di una qualsiasi pietà per l'oscena umanità che si dimena come zombie sulla superficie della terra. Un lontano coro si inserisce nel brano e poi altri intrecci si susseguono, sempre con massimo armonia e cura per l'attento ascoltatore che cercherà di cogliere le diverse sfumature inserite dal musicista. "I'm Climbing" è l'ultima tracce dell'album e conferma quanto detto precedentemente sulla composizione musicale. Il brano richiama le sonorità dei vecchi Katatonia e Pierre dà libero sfogo al suo cantato potente e autoritario, una sorta di oratore del nuovo millennio che cattura l'ascoltatore e lo incatena davanti a sé fino alla fine. Dopo circa tre minuti il brano muta completamente grazie all'assolo di chitarra che sembra arrivare da una dimensione lontana e che lascia spazio ad un vecchio pianoforte malinconico che chiude il cd facendo calare il sipario. In generale la composizione dei brani è sempre molto complessa, arrangiata in modo ineccepibile e il tutto è coronato da una cura chirurgica dei suoni. L'esperienza dei Doomed è palese grazie a lavori sempre di qualità, un doom mai banale che viene portato ad un livello altissimo e che può avvicinare anche le orecchie meno abituate a queste sonorità. L'inserimento di tastiere, linee vocali prog, suoni ambient e quant'altro alleggeriscono alcuni passaggi che sono oggettivamente sostenibili per un tempo limitato senza cadere nella depressione più nera. 'Wrath Monolith' raccoglie sei brani raccontati ed eseguiti attraverso diversi stati d'animo, con piglio epico da un musicista che merita di essere annoverato tra i più meritevoli degli anni duemila. (Michele Montanari)

(Solitude Productions - 2015)
Voto: 75

https://www.facebook.com/doomedband

sabato 24 gennaio 2015

Doomed - Our Ruin Silhouettes

#PER CHI AMA: Death/Doom
Doomed è il progetto di una mente oscura e geniale, tal Pierre Laube, che vive la sua vita terrena in Sassonia, precisamente a Zwickau. L'idea nasce nel 2011 e 'Our Ruin Silhouettes' è il terzo album da lui prodotto, recentemente disponibile anche in vinile e distribuito dalla Solitude Productions. La band si arricchisce di cinque elementi per l'esibizione live e precisamente i membri sono: Yves (Lead Guitar), Andreas (Drums), Frenzy (Bass) e Pierre (Rhythm Guitar & Vocals). Il progetto affonda le sue radici nelle tetre atmosfere doom e death metal, quindi ritmiche lente, pesanti e ricche di basse frequenze, riff oscuri e cantato rigorosamente in growl. Ad arricchire i brani si aggiungono campionamenti ambient provenienti probabilmente dai migliori film horror che dovete sperare di non aver visto mai (oppure si, se amate il brivido). Tutto ciò aumenta la già opprimente sensazione di ansia che si ha nell'ascoltare le sette tracce di questo 'Our Ruin Silhouettes'. L'album apre con "When Hope Disappears", titolo che anticipa già il mood del brano e che viene subito confermato dall' intro di campane ed oscuri cori liturgici. Da lontano si sente il crescendo della ritmica che esplode con la chitarra e basso. Il ritmo avanza lento e demoniaco per cinque minuti abbondanti, con il successivo inserimento di riff dissonanti e doppia gran cassa. Poi gli arrangiamenti aumentano di potenza e portano alla conclusione un brano che ha ottenebrato la nostra mente per quasi nove interminabili minuti. "The Last Meal" riprende la precedente struttura, aprendo con un'introduzione fatta di synth e dalla timbrica simil drone. La traccia si trasforma in pochi secondi in un lungo volo pindarico tra death e black metal, sempre intriso di atmosfere oscure e cariche di ansia. Verso la metà il brano cambia direzione con un break più lento e dal feeling epico, che fa quasi sperare in un ravvedimento dei Doomed. In particolar modo ho apprezzato "Revolt", dove le sonorità sono meno cupe e riprendono quelle già usate da band come i Katatonia. Il cantato alterna sezioni growl a parti quasi sussurrate, seguendo l'andamento della traccia che ne svela una doppia identità: la prima potente e tenebrosa, la seconda invece ricca di riff melodici e atmosfere più distese. Probabilmente l'idea era di rappresentare la duplicità della realtà. L'album è ottimamente registrato e l'utilizzo di campionamenti e loop ambient aumenta la profondità artistica di questo lavoro, regalando un chicca che verrà sicuramente apprezzata dagli amanti del genere. I suoni sono pressoché perfetti, i Doomed hanno fatto un gran lavoro e possono ritenersi soddisfatti, oltre al fatto che tecnicamente tutti i brani sono costruiti ed eseguiti in modo ineccepibile. Un album che mi sento di consigliare a tutti, Natale è passato e potete quindi tornar ad essere cattivi come prima. (Michele Montanari)

(Solitude Productions - 2014)
Voto: 85
 

martedì 26 febbraio 2013

Doomed - In My Own Abyss

#PER CHI AMA: Death Doom, Hooded Menace, Evoken
Seconda release ma esordio sotto Solitude Production per questa one man band tedesca che si affaccia sul troppo affollato e piatto mare del doom metal più estremo, con un nome poi che non è certamente d'ausilio. Al primo sguardo, l'artwork sulfureo emana un'aurea sciamanica e tribale che a contrasto con il font in stile cirillico, quasi illeggibile, rende agitato lo sguardo di quest'opera. Venendo al sound dei nostri, le tracce si salvano dalla normalità compositiva, o per meglio dire, sono normali perché sono scritte decentemente. Nonostante la musica cerchi di rispecchiare una qualsiasi tradizione old school, con tanto di vocals profonde e melodiche, l'album si regge grazie all'imponente muro sonoro innalzato dalla sezione ritmica, e qui si nota una vena personale non indifferente, grazie alle parti in pulito ed all'inserimento di una carica groove che accompagna l'ascolto abbastanza piacevolmente, anche se, per quanto mi riguarda, non ho troppo apprezzato perché ritenuto un escamotage per sorvolare certe ovvietà delle strutture compositive. Un disco che fa tuttavia trasparire qualche raggio di luce in fatto di originalità, la base c'è, bisogna solo rischiare, soffrire e immergersi un po' di più nel buio. (Kent)