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domenica 9 gennaio 2022

Dawn of a Dark Age - Le Forche Caudine 321 a​.​C. - 2021 d​.​C.

#PER CHI AMA: Black/Folk/Avantgarde
Con l'intento di tributare nuovamente le proprie origini sannite, come già fatto peraltro ne 'La Tavola Osca', Vittorio Sabelli torna con un nuovo capitolo della saga Dawn of a Dark Age, intitolato 'Le Forche Caudine 321 a​.​C. - 2021 d​.​C.'. Ovviamente, la citazione storica riporta alla battaglia delle Forche Caudine in cui i Sanniti, sotto l'egida di Gaio Ponzio, sconfissero i Romani, imponendo poi loro la prova mortificante di passare sotto gli omonimi gioghi. Tre i brani a disposizione dei nostri per narrare quegli eventi e farne anche un parallelismo storico con la nostra era. Qui supportati da un esteso numero di ospiti a suonare ogni tipo di strumento inimmaginabile (zampogne, mandoloncello, darbuka, tamburello, vibrafono, archi e fiati vari, flicorno, conchiglie), i Dawn of a Dark Age propongono, attraverso una sorta di narrazione storica fatta di dialoghi, cori e quant'altro, il loro classico sound a cavallo tra black, folk e sperimentazioni varie. Il disco apre con "Excerpt 1 (Scene 3 -7)", un brano di black atmosferico, in cui a mettersi subito in luce è il clarinetto di Vittorio che ne accompagna anche la voce narrante (sempre di grande impatto). Il brano è un susseguirsi di movimenti, tra black, partiture folk e attimi di grande epicità, laddove il tremolo picking si prende la scena. Il lavoro prosegue con "Le Forche Caudine - Atto I": si sentono i cavalli sopraggiungere, chiudo gli occhi e provo ad immaginare la scena che i suoni e le cupe melodie dei fiati, provano a descrivere. Mi sento proiettato indietro nel tempo, una chitarra acustica dà il la alla musica con una lunga parte introduttiva che fino al settimo minuto si manterrà esclusivamente strumentale, proponendo sin qui un sound mediterraneo suonato con tutti gli strumenti a disposizione del collettivo. Si palesano poi le vocals con lo screaming caustico di Emanuele Prandoni a riportare gli eventi storici, mentre il sound in sottofondo ci conduce a luoghi lontani nello spazio e nel tempo. La voce di Emanuele viene poi soppiantata dalla narrazione di Vittorio e il tutto acquista ancora più veridicità storica quasi il mastermind molisano si trasformi in una sorta di Alberto Angela del metal. Lunghe parti ritmate vengono affiancate da tratti folklorici in un'alternanza tra frammenti atmosferici, momenti di narrazione e scorribande black, a cui aggiungerei addirittura derive jazz poco prima del diciannovesimo minuto, dove la perizia tecnica della band si miscela con la pura poesia musicale guidata da un eccellente assolo di clarinetto, per un finale da brividi. Dopo gli oltre 21 minuti dell'atto I, ecco "Le Forche Caudine - Atto II", poco meno di 17 minuti di sonorità estreme, avanguardistiche, heavy (ascoltatevi l'assolo in apertura di brano), tradizionali, jazzy, prog rock, classiche, post-black, orchestrali, mediorientali, a condensare quasi tutto lo scibile musicale, in un brano ad altissima intensità ed elevato spessore artistico, che rischierà di piacere, a largo spettro, sia agli amanti dei Jethro Tull che a quelli dei Wolves in the Throne Room. Gioiellino. (Francesco Scarci)

lunedì 7 settembre 2020

Dawn of a Dark Age - La Tavola Osca

#PER CHI AMA: Black Avantgarde/Folk
Dopo aver saputo che Vittorio Sabelli aveva ricostituito la sua creatura Dawn of a Dark Age (supportato questa volta alla voce da quell'Emanuele Prandoni di cui abbiamo recentemente recensito l'album degli Anamnesi), ero assai curioso di ascoltare i contenuti del nuovo disco. Abbandonato il filone relativo ai sei elementi della Terra, Vittorio è tornato questa volta con una tematica di carattere storico, 'La Tavola Osca' (o Tavola degli Dei), che dà appunto il titolo alla release e si riferisce ad un antico reperto di bronzo del III secolo a.C. appartenuto al popolo dei Sanniti, che testimoniò l'esistenza della lingua italica nella terra di origine del musicista molisano. Il disco pare muoversi attorno alle vicende che hanno portato al rinvenimento della lastra bronzea nel 1848 e alle sorti che la portarono a scomparire e ricomparire nelle mani di vari personaggi storici, ma il tutto è ben spiegato all'interno del booklet. Si parte dall'opener "La Tavola Osca - Le Divinità - pt.1 (Excerpt 1)", una song che sembra voler ricalcare il passato musicale dei nostri, attraverso la combinazione di un black serrato contrappuntato da una forte componente folklorica, il tutto palesato da ritmi incalzanti, screaming vocals ma anche da splendide melodie in sottofondo. Interessante il mid-tempo a metà brano con certi interessanti richiami a sonorità anni '70. Vittorio non rinuncia ovviamente alla furia del black, ma nemmeno alle trovate avanguardistiche che da sempre contraddistinguono il progetto. Si prosegue con i suoni pù calibrati di "La Tavola Osca - Le Divinità - pt.2 (Excerpt 2)" dove largo spazio viene concesso alla narrazione degli eventi da parte della voce di Vittorio stesso, ma l'apoteosi si raggiunge quando la scena se la prende l'imbizzarito clarinetto del polistrumentista italico, con un assolo da brividi, che mi fa ricordare il motivo per cui non vedevo l'ora di riascoltare la musica dei Dawn of a Dark Age. Quasi a voler parafrase il suo titolo, "La Tavola Osca - Processione Funebre pt.3 (Excerpt 3)" assomiglia ad uno di quei cortei funebri che sono stati messi in scena nella filmografia del sud Italia. Sicuramente un brano suggestivo a suggellare l'italianità di un lavoro che sembra voler affrescare scene della vita del nostro Mezzogiorno. Terminato questo trittico di brani facenti parti dell'Atto I del disco, ci troviamo di fronte al secondo Atto, che prosegue in "La Tavola Osca (I Atto)", con la narrazione da parte del factotum nostrano degli eventi storici come se si trattasse di un audiolibro, con tanto di strumenti acustici e clarinetto in background ad accompagnarne la lettura. Bisogna immergersi quindi nel coinvolgente contesto storico-musicale di queste parole e note, lasciandosi sedurre dal folk acustico del sempre più imprevedibile polistrumentista originario di Agnone, che da li a breve si lancerà in un'altra cavalcata dal sapore post-black. Ma la song, della durata di ben 23 minuti, regala sprazzi di grande musica evocativa, toccante, tribale, mediterranea, feroce quanto basta per definire questa suite un piccolo gioiello incastonato nella discografia del mastermind italico. L'ultimo atto, "La Tavola Osca (II Atto)", nei suoi 17 minuti narra di quando nel 1873 il British Museum acquistò la collezione artistica che includeva la tavola stessa e che oggi stesso ancora la preserva, alternando nel suo corso, fumantine esplosioni black con popolari intermezzi da sagra di paese. Gli ultimi dieci minuti che rappresentano verosimilmente l'ultima scena del lavoro, sono affidati ad un antico e litanico rituale in cui vengono menzionati peraltro i nomi delle divinità sannite incluse nella tavola. Alla fine, 'La Tavola Osca' segna il graditissimo ritorno sulle scene di uno dei musicisti più talentuosi e originali della nostra penisola, con un album strutturato, dotato di una buona dose di raffinatezza e sicuramente ben suonato, che peraltro unisce con grande interesse due ambiti culturali, la musica e la storia, ove il folklore popolare ne rappresenta il minimo comun denominatore. (Francesco Scarci)

giovedì 18 maggio 2017

Dawn of a Dark Age - The Six Elements Volume 5: Spirit/Mystères

#PER CHI AMA: Avantgarde/Black/Teatro, In Tormentata Quiete, Carpathian Forest
Gong! Si parte con il quinto viaggio dei Dawn of a Dark Age e il mantra minaccioso "Il mistero si svela alle porte della città, il mistero si cela dietro l'oscurità". Il polistrumentista Vittorio Sabelli, in compagnia di diversi amici, torna con la sua creatura ed il quinto capitolo della saga che si riferirisce ai sei elementi naturali. Dopo aver svelato tre dei primi quattro qui nel Pozzo, andiamo a scoprire il quinto, 'The Six Elements Volume 5: Spirit/Mystères', forse il più complicato da ascoltare ma d'altro canto anche quello più complesso musicalmente. Dell'intro de "Il Viaggio" abbiamo già detto, da qui in poi è una sorta di rappresentazione teatrale quella che va in scena durante l'ascolto di questa nuova fatica, con il soave suono del clarinetto che si prende il ruolo di protagonista indiscusso in un tuffo nella musica, esplorando sonorità mediterranee (con un che degli In Tormentata Quiete tra le influenze), divagazioni jazz tra suoni di sax, viola e percussioni varie ed infine scorribande black progressive che giungono alle nostre orecchie solamente dopo una decina di minuti, e che non rinunciano ovviamente all'utilizzo di quella strumentazione non  convenzionale, con cui da sempre il buon Vittorio ci ha abituati. Dicevo che l'album è comparabile ad un'opera teatrale e l'ingresso narrato in dialetto molisano di "Dream" lo testimonia. Da qui riparte il tourbillon black, tra raggelanti riff di scuola norvegese, screaming vocals e furenti pattern di batteria, affiancati dall'indiavolato trillo del clarinetto, vero fuoriclasse di questa lunghissima prima traccia di ben oltre 21 minuti. L'opera narrativa prosegue con "Lo Spirito del Deserto" e il recitato malefico di Luca Del Re che s'ispira al poema di Aleister Crowley 'The Soul of the Desert', in una melodica song mid-tempo. "Il Cerchio di Fuoco" è una spettrale ed insana traccia introdotta da un lungo monologo che scivola successivamente in un distesso flusso corale e da qui si lancia in un'iperbole musicale di clarinetto e ritmiche infuocate, per poi affidare la sua coda nuovamente a suggestivi intermezzi recitativi. "Corpus Domini" non lascia alcun dubbio invece sulla sua natura prettamente black, visto l'inizio dirompente tra blast beat e un rifferama thrash black davvero violento, che trova pace solo nell'iniziale break affidato a clarinetto, scacciapensieri e vocals, prima che la violenza torni a sprigionarsi tra ritmi incalzanti, chorus epici, funamboliche azioni percussive e parlati vari, in un rocambolesco finale di miscele jazz, noise, ambient, arte circense e folk. Delizia per i miei padiglioni auricolari, lo ammetto; lo stesso dicasi per la successiva ed inquieta "Il Ritorno", un pezzo semi-strumentale dalle movenze jazz blues rock. Si tratta invece di ritual post rock quello che si sente nell'ultima lunga "Epilogo": un malinconico turbinio di chitarre in tremolo picking, tocchi d'organo che evocano la Quinta Sinfonia di Beethoven, fughe post black e screaming vocals caratterizzano questa magniloquente traccia che chiude con quell'evocativo mantra iniziale "Il mistero si svela alle porte della città, il mistero si cela dietro l'oscurità" che aveva aperto il disco, anzi no, perchè un'altra piccola sorpresa "bandistica" è pronta ad attenderci negli ultimi secondi di 'The Six Elements Volume 5: Spirit/Mystères'. Un disco davvero notevole. (Francesco Scarci)

(Razed Soul Productions - 2017)
Voto: 85

http://www.dawnofadarkage.com/

martedì 12 gennaio 2016

Dawn of a Dark Age - The Six Elements, Vol.4 Air

#PER CHI AMA: Black Mediterraneo, In Tormentata Quiete, Windir
Puntuale come un orologio svizzero, chirurgico nelle durate dei suoi album (36 min), matematico nel numero dei pezzi inclusi, Vittorio 'Vk' Sabelli torna con il quarto capitolo della sua personale esologia dedicata agli elementi. Dopo Terra, Acqua e Fuoco, è il turno ovviamente dell'Aria. Innanzitutto, con somma gioia, in 'The Six Elements, Vol.4 Air' registriamo la presenza di un batterista in carne ed ossa, nella fattispecie Diego 'Aeternus' Tasciotti, noto per la sua militanza, tra gli altri, negli Handful of Hate e nei Lord Vampyr. Dietro al microfono questa volta, a prestare la propria voce, l'ottimo ed eclettico Lys degli Enisum. Con questa nuova line-up, il buon VK si lancia in altri sei brani di musica estrema, etnica, folkish, a sorprendere ancora con il suo sound votato allo sperimentalismo "mediterraneo". Direi che non molte sono le differenze con i precedenti lavori, se non una maggiore organicità e un impatto sonoro decisamente meno freddo rispetto al passato, legato alla presenza di un vero batterista dietro le pelli. Esclusa l'intro, i veri brani esordiscono con "Argon Van Beethoven (1%)" - che razza di titolo è mai questo - song in cui vediamo nuovamente la band miscelare il proprio estremismo musicale (di scuola nordica) con i classici frangenti acustici dedicati all'esplorazione di sonorità dal sempre più forte sapore mediterraneo, condite dall'utilizzo di splendidi strumenti, sax e clarinetto su tutti, che arricchiscono le tracce del mastermind molisano. "Children of the Wind" è un pezzo black mid-tempo che vede i nostri sciorinare sinistre melodie di chitarra, arrangiate da un infervorato clarinetto che sembra ripercorrere le melodie di uno stralunato Sergej Rachmaninov. Qui musica classica e black metal si incontrano e convivono in pace, dimostrando quanto la musica possa compenetrarsi tra i generi più disparati, cosi come la voce (in scream e growl) del bravo Lys riesce a convivere con il vocalizzo improvvisato di un'eterea donzella. Un arpeggio basico apre "Darkthrone in the Sky", song che verosimilmente vuole essere un tributo nei confronti dell'act norvegese, citato da VK come influenza per il proprio sound. La song è abbastanza semplice ma nella sua essenzialità risiede un'altra verità: si può fare ottima musica mettendo insieme anche pochi accordi. Se temete di annoiarvi, non ce ne sarà il tempo perché il terzetto architetta una traccia nebulosa, atmosferica e dal mood malefico, soprattutto nelle sfuriate conclusive, dove tra i blast beat impazziti, s'insinua diabolico più che mai, il verso del sax. La quinta "Jukai" è suddivisa in due sottotracce che si muovono a cavallo tra un black mid-tempo e feroci sgroppate condite da chitarre zanzarose, con gli ormai immancabili arrangiamenti a base di pianoforti, tastiere, flauti e chi più ne ha più ne metta, in una traccia che risente addirittura di un lontano ed epico richiamo ai Bathory. Che altro dire, se non invitarvi all'ascolto di questo stravagante artista che da sempre ha il merito di sperimentare lungo i sentieri oscuri del metallo nero. (Francesco Scarci)

(Nemeton Records - 2016)
Voto: 75

martedì 24 marzo 2015

Dawn of a Dark Age - The Six Elements, vol​.​2

#PER CHI AMA: Black Avantgarde, In Tormentata Quiete, Pan.thy.monium
Una grafica minimalista, un moniker quasi illeggibile e un digipack molto essenziale, mi hanno fatto presagire all'ascolto di un lavoro del tutto votato alla devastante furia iconoclasta black metal, in stile Darkthrone. E invece nulla di tutto ciò, perché i due loschi figuri che si celano dietro al nome Dawn of a Dark Age, sono dei geni... si dei geni del male. Con l'obiettivo di rilasciare un'esologia (a cadenza semestrale) che tratti gli elementi concreti, ecco trovarmi al cospetto del secondo lavoro  dei nostri, quello che tratta l'acqua. I due artisti molisani, Eurynomos e Burian, ci conducono in un delirante trip estremo dalle movenze etnico sinfoniche. Le sei tracce contenute in 'The Six Elements, vol​.​2 Water' aprono con la criptica "Intro-The Gates Of Hell (In The Deepest Dark Abyss)", traccia che coniuga con classe, l'approccio sinfonico degli austriaci Angizia con quello teatrale degli In Tormentata Quiete, il folklore degli Inchiuvatu e un'aura rock progressive anni '70, il tutto logicamente riletto in chiave estrema. Tutto chiaro no? Esaltato dall'ingresso epico dei nostri, mi spingo oltre, alla successiva "Otzuni (The Black City In Apulia)", song assai cupa che mi consente di aggiungere ulteriori elementi caratterizzanti il sound del duo di Isernia. Ricordate il capolavoro 'Dawn of Dreams' dei mai dimenticati Pan.thy.monium, folle creatura di Dan Swano, in cui strumenti a fiato e ad arco collidevano in sound granitico? Bene, se quel disco è diventato anche per voi una pietra miliare nella vostra personale discografia, il secondo capitolo dei Dawn of a Dark Age vi saprà conquistare altrettanto, poiché tutti quegli elementi che si trovavano in quel lavoro del 1992, coesistono e vengono elaborati attraverso una splendida rivisitazione moderna, in cui jazz e musica classica si fondono all'unisono con sonorità malvagie e vocals che si muovono tra il growling e lo screaming, mentre arabeschi da brividi si dischiudono nell'ipnotica "The Old Path Of Water (Where You Rot Slowly)", song che alterna essenziali sfuriate black/death, (in stile ultimi Enslaved) ad assoli di sax, clarinetto, violino e viola (questi ultimi due grazie al supporto di P-Kast). Oserei dire incredibile, sebbene nei momenti più selvaggi, il suono risulti un po' troppo elementare e le vocals poco convincenti nella loro veste più growleggiante. "The Verrin's Source (On MountField)" è un'altra bella cavalcata di grezzo black metal in cui le arcigne vocals di Burian si ergono su una ritmica ferale che richiama i Mayhem, mentre per il break centrale, i due si lasciano andare a bucolici arpeggi, fino ad un finale a la Inchiuvatu. Le citazioni che compaiono in questo disco non si limitano a quelle fin qui descritte, ma proseguono con gli epici suoni dei primi Ulver, noise, cinematica e atmosfere di Pink Floydiana memoria, quest'ultime condensate tutte nella lunga "Outro n.2". Che altro dire se non invitarvi all'ascolto attento di questo secondo capitolo dei Dawn of a Dark Age, riscoprire il loro debutto 'Earth' e attendere luglio per godere del terzo lavoro 'Fire'. Molto buoni! (Francesco Scarci)

(Self - 2015)
Voto: 80