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mercoledì 14 febbraio 2024

Katatonia - Sky Devoid of Stars

#FOR FANS OF: Alternative Metal
Well, this metal is more on the alternative side of that genre, very eclectic! I liked this whole album, there were really no peaks and valleys in it, it was solid the whole way through. I didn't play favorites with any of the songs, either. They were all good, the 11 tracks featured a bonus song. I kind of didn't want this to end, it was so mesmerizing. It's anything but aggressive though the roots are still in that genre, I wouldn't call this alternative rock really like see more modern Anathema. This band is Swedish based and a lot of excellent albums are from that country, especially melodic bands. That would be At The Gates, Dismember, et al though those are really heavier bands. Dark Tranquillity and Arch Enemy are other metal bands that are melodic too!
 
The recording quality was quite good. The instruments were well mixed too, and I'd have to say that it's a more romantic sort of recording, featuring more clean vocals throughout. That's what made this album so appealing if you're not expecting anything heavy. It's just not there on here!

I kind of didn't want this album to end! But it met the mark in my top albums for 2023. It would be the one that I've held most in high esteem for that genre, and others that are a bit heavier would be Fires In The Distance. They're melodic too but a little bit heavier. And good news that yet another Dark Tranquillity album is coming out soon they've just finished with that recording so my sources say! It's a year that has done well with metal in 2023. This year, in terms of melodic bands, Everdying is another melodic band that's heavier though and much more aggressive than Katatonia. Anyway, all the songs on this Katatonia release are favorites. I can't site one that's better than another. They all have a special place in their discography.
 
Not to digress like I did previously, this is something that's so esoteric and surreal! They're not balls out intensity, it's wholly melodic with so many intriguing instruments in the mix that are essentially clean. Basically, they have light-to-metal guitars and keys that play well with the vocals.

I think this is my favorite release from the band. It's so consistent, just don't expect it to be balls out heavy the element here is "feel" opposed to aggression. These guys take melodicism to the next level with genius syndrome effects and essence, as I'll revisit my previous state. Check it out! (Death8699)
 

lunedì 25 dicembre 2023

Autumn Clan - Requiem To The Sun

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Gothic/Dark
“New Gothicism” per gli austriaci Autumn Clan, formazione che propone un misto di gothic e black, almeno per quanto riguarda la base ritmica proposta da chitarra e basso. Sì, l’impronta è molto, diciamo, “New gothic” (peraltro "New Gothicism" è il titolo della loro prima track), e rimanda a gruppi quali gli HIM più tirati, i Darkside e in generale, il dark anni 80 in stile Sisters of Mercy per ciò che concerne alcuni arpeggi acustici che rimandano alle sopraccitate “Sorelle”. La voce pulita poggia abbastanza bene sopra la base musicale anche se risalta meglio laddove le chitarre ritmiche non sono propriamente metal, ma più soffuse; la tonalità è alquanto evocativa anche se, prima di farci l’orecchio, sembra sfoci in melodie pop d’avanguardia. Non ho i testi sotto gli occhi, anche se da quello che capisco, mi pare che affrontino tipiche tematiche care al dark più profondo e al gothic (oscurità, tristezza e amore/ndr). 'Requiem to the Sun' è alla fine un bell’album sotto tutti i punti di vista: le chitarre soprattutto svolgono un egregio lavoro solista sviluppando trame melodiche e tristi, quasi mai banali. In ultima, vorrei spendere qualche parola a favore della produzione, ottima e molto pulita anche sulla ritmica pesante. Proprio non male, spero ne sentiremo parlare molto, soprattutto ora che la band si è riformata dopo una pausa di 16 anni.

venerdì 10 novembre 2023

Jemek Jemowit - Zemsta

#PER CHI AMA: Electro/New Wave
A giusta ragione viene riproposto nel 2023, completamente rimasterizzato, quest'album che ha visto la luce nel 2011. L'artista in questione è il berlinese Jemek Jemowit. Una sorta di ritorno alle origini delle sonorità della musica elettronica europea che trovava l'asse Berlino/Sheffield, il giusto mezzo di comunicazione tra Germania e Gran Bretagna, alla fine degli anni '70 e inizio '80 del secolo scorso. Scandagliata al setaccio, da gruppi di culto internazionale come gli Skinny Puppy, e passando obbligatoriamente dal movimento sperimentale Geniale Dilettanten. Niente di nuovo musicalmente, neppure se valutiamo questo lavoro nella sua prima data di uscita, nessuna nuova strada, nessuna nuova idea sonora, ma è proprio per questo che 'Zemsta', è da considerarsi un'ottima uscita, un'opera stoica e prolifica di mantenimento del genere, messa in atto da un nipote di quei mostri sacri, che l'elettronica l'hanno veramente plasmata. Prendete il tocco pop di Falco, il cupo dei Clock Dva, i Cabaret Voltaire, il glam oscuro e sintetico dei primi D.A.F., il taglio robotico dei precursori Kraftwerk, uniteli al genio tossico di Alec Empire e soci, aggiungete poi la forza d'urto della prima techno da rave devastanti, scarnificatela e rendetela a tratti gotica e molto dark, e avrete finalmente solo una vaga descrizione della radice sonora di questo disco. Spesso ideale per un night club oscuro e sinistro, una fede incrollabile, votata ad un suono freddo tra cemento e acciaio, al digitale, e per finire un'attrazione per l'industrial dei Rammstein, tolte le chitarre distorte e attitudine metal. "Jeans und Leder" apre le danze ed assieme a "Maenner Meiner Heimat" e "In Shoeneberg", formano un trittico di pura goduria elettronica, timbrica dura, pulsante e suoni sgraziati, poca melodia e ritmi rigidi, glaciali e industriali. "Meine Tabletten" si apre a certo post punk con un ottimo ritornello/filastrocca che parte al minuto 2:47, degno di un film horror, inaspettato e geniale, sulla scia di autorità irraggiungibili del calibro delle Malaria!, che sancisce definitivamente anche il legame storico di questo disco con il movimento Neue Deutsche Welle, costola evoluta e ibrida tra punk e new wave tedesca, nato qualche decennio prima dell'uscita di 'Zemsta'. Tra sussulti alla Depeche Mode epoca 'A Broken Frame', e pulsazioni techno sperimentali ("Liebe, Krass und Ass" e "Am Boden Zerschmettert") , rumori e synth a gogo, si avanza senza perdere un solo colpo. "Sad Ostateczny" è forse la meno interessante del lotto sotto il profilo sperimentale, mentre la successiva "Angst vor Feuer" è un esempio di come dall'utilizzo di un classico tempo techno, si possa, con gusto ed intelligenza, creare un ottimo brano, con un effetto sulla voce che ricorda alcune cose cantate da Tom G. Warrior nei Celtic Frost! "Zemsta" presta il titolo all'intero album ed è techno, macabra e noir, pulsante, con presenza di voci agghiaccianti sempre perfettamente in linea con la trama di qualche film horror. "Internist und Internet" torna al sound elettronico del dark/synth wave di inizio anni '80, con un riff di tastiera che in qualche accento richiama, per assurdo, "N.I.B" dei Black Sabbath, come fosse suonata dai Devo. Si chiude con "Chce Zostac Twoja Matka", un brano dalla struttura tipica del post punk elettronico vicino ai conterranei Grauzone. Cantato sia in lingua tedesca che polacca, penso che 'Zemsta' sia uno degli apici più alti di questo artista, innamorato dell'estetica sonora e della potenza sovversiva intrinseca della musica, dell'alternativo che lo ha portato ad utilizzare il verbo della techno e della new wave come mezzo espressivo per la sua arte. Quindi, musica ad effetto, interessante e destabilizzante, per una carriera che dura ancora oggi dal lontano 2007. Bisogna dire anche che, ad oggi, la musica di Jemek Jemowit, è mutata ed ha spostato la bilancia più verso lidi dance e techno, relegando i canoni più dark e post punk ai fasti del passato. Un artista comunque originale, che in questo specifico caso, ha superato ogni aspettativa, raccogliendo e rinvigorendo il seminato ed il raccolto già ricco, dei padri putativi del genere. Un disco che potrebbe finire nella vostra collezione di musica elettronica senza se e senza ma e per cui vale solo esclusivamente l'obbligo d'ascolto. (Bob Stoner)
 
(Greek Label Fabrika Records/Atypeek Music - 2011/2023)
Voto: 75

https://jemekjemowit.bandcamp.com/album/zemsta

venerdì 20 ottobre 2023

Iskandr - Spiritus Sylvestris

#FOR FANS OF: Dark/Post Punk
Evolving so much from the seminal sound until the music is remarkably different from what we knew, it’s not something uncommon in the black metal genre. The legendary Norwegian project Ulver is an extreme example of it, so its not a complete surprise to see how the Dutch duo Iskandr has changed with its new opus 'Spiritus Sylvestris'. In any case, I wasn’t expecting such a step forward in its evolution, as its previous albums, from the debut album 'Heiling Land' to the latest one ‘Vergezicht’ showed an evolution, yet the black metal elements were still a core of its sound.

With ‘Spiritus Sylvestris’ any of the aforementioned black metal elements, as the shrieks, raspy guitars or speedy drums are completely gone. The new opus has a strong influence from genres such as darkwave, post-punk, just to mention a few. The vocals remind me especially these genres as they are clean voices with a strong melancholic touch (and chanting/ndr) as we can appreciate in a song like "Waterwolf", for example. This track has a more percussive and lively rhythm mixed with an ethereal atmosphere, especially when some cool old school synthesizers are added to the composition. This right blend of elements makes this track my favorite one. The low tuned/baritone subtle guitars have a quite monotonous pace in general terms, and although the mentioned track has a slightly greater variation, other tracks like "Hoor het Smeken" or the lengthy "Hof der Valken" contain little variation in their pace. It is the album closer "Nachtvorst" which saves the day, having again the more upbeat and energetic pace that "Waterwolf" has, which sincerely works very will with this music style.

Although ‘Spiritus Sylvestris’ might be a pleasant listen for those who enjoy genres like darkwave and post-punk, my honest opinion is that this album lacks some strength and variation in its structures. There are some nice moments and melodies here and there, but at least for me, if this was the direction they wanted to follow, some more power would be a welcome addition. Some will disagree, but my feeling is that this album lacks the strength of a powerful post-punk album and at the same time the more present ambience of a pure darkwave album. So, it falls in the middle of both approaches, lacking something from both. (Alain González Artola)

martedì 19 settembre 2023

Steamachine - City of Death

#PER CHI AMA: Groove Death/Metalcore
Con un incipit di "pensees nocturnes" memoria, si apre l'album dei polacchi Steamachine, 'City of Death'. Se la title track nonchè traccia d'apertura, ci dice che siamo nei paraggi di un death melodico dai tratti piuttosto compassati, tanto che sembrerebbe addirittura una lunghissima intro tra scanzonati cori, riffing di circensi reminescenze, e vocalizzi growl, la successiva "Show of Death" sembra meglio demarcare i tratti di questo stralunato quartetto. La song infatti, un filo più robusta, ritmata e dinamica della precedente, apre con scoppiettanti e marcati riff pregni di un esorbitante quantitativo di groove e deliziose melodie che trovano in un breve break atmosferico, il punto di ristoro del brano. Voler però catalogare a tutti i costi la proposta dei quattro musicisti originari di Olsztyn, peraltro al loro secondo album in due anni, potrebbe però essere oltremodo oltraggioso, data l'eccelsa capacità di far transitare più generi nella stessa cruna dell'ago, che vanno da sporadiche capatine black al deathcore progressivo e l'esempio più calzante potrebbe essere rappresentato da "Monsterland", senza tralasciare death, dark, prog, metalcore, steampunk, alternative e thrash metal. A proposito di quest'ultimo ecco che "Sinister Reflection" sembra far confluire influssi industriali sopra un rifferama thrash metal oriented, con tanto di voci nu-metal e sonorità parecchio sinistre, cosi come vuole il titolo. Robusta, cattiva, acida nelle sue partiture vocali (sebbene corredata da clean vocals che andrebbero invece riviste) è invece "Acrobats of the Abyss", che tuttavia nel corso dell'ascolto mostra parti sperimentali di synth e keys che si abbineranno ad una costante ricerca di cambi di tempo. La song poi s'interrompe bruscamente per lasciar posto alla più oscura "Journey of Madness", piacevolissima da un punto di vista musicale, ma che lascia intravedere che forse l'elemento debole della band sia la voce, qui lontana dall'essere convincente. Molto meglio invece nella più pazza e schizoide "Toys Factory", che chiude brillantemente con le sue più malinconiche melodie il disco, prima delle tre bonus track "The Book of War" I, II e III, che altro non sono che i tre pezzi inclusi nell'EP uscito a maggio di quest'anno, tre brani che palesano un mood più orrorifico e tenebroso e che nella parte II vede peraltro un fantastico assolo messo in mostra. Gli Steamachine sono una bella band che davvero non conoscevo, she sembra avere qualche punto in comune con i Pyogenesis di 'A Century in the Curse of Time', ma con una maturità e personalità davvero invidiabili. (Francesco Scarci)

sabato 16 settembre 2023

Post Luctum - Covers EP

#PER CHI AMA: Death/Dark/Doom
Non so se siano finite le idee o cosa, ma in questo periodo mi sono capitati già diversi album ricchi di cover. Quello degli americani Post Luctum, lo trovo forse più affascinante, perchè suonare “A Forest” dei The Cure in una versione vicina ai Paradise Lost di ‘Icon’, è tanta roba. D’altro canto, la one-man band statunitense si cimenta nel death doom e quale brano migliore poteva stare in questo ‘Covers EP’, se non uno dei classici dei Cure più oscuri e darkeggianti? Perchè poi non fare meglio e coverizzare proprio un pezzo di Nick Holmes e soci, ossia quella “Joys of the Emptiness”, inclusa in quel meraviglioso ‘Icon’ che, per quanto mi riguarda, rappresenta l’apice della band di Halifax. La riproposizione è perfetta, fedele all’originale, anche a livello vocale. Che spettacolo riascoltare un brano che ha contribuito alla mia crescita di metallaro. Nel frattempo si arriva al termine di questa breve cavalcata di cover che ci porta a “Lucretia, My Reflection” dei Sister of Mercy e a una band che ha permesso a band, i Tiamat giusto per fare un esempio, di diventare grandi. E il cantato sofferente e sussurrato del vocalist, qui non potrà non evocarvi quello di Johan Edlund in ‘A Deeper Kind of Slumber’. Poi il brano dei Sister of Mercy dovreste anche conoscerlo, con quel basso pulsante iniziale, sonorità post punk anni ’80, qui riproposte in una versione più attualizzata, corredata peraltro da growling vocals, in linea con la proposta dei Luctum. Insomma, una decina di minuti per riassaporare vecchi brani del passato. (Francesco Scarci)

venerdì 5 maggio 2023

Mushroom Giant - In a Forest

#PER CHI AMA: Post Rock
Li avevo recensiti due anni fa in occasione del decennale dell'etichetta Bird's Robe Records, con l'album 'Painted Mantra', uscito originariamente nel 2014. Li ritrovo oggi con un album nuovo di zecca, 'In a Forest', ed un sound che non si discosta poi di molto da quella che è l'architettura post rock di fondo degli australiani Mushroom Giant. Il "Fungo Gigante" ci offre sette nuove tracce, che si rivelano introspettive nel loro incedere sin dall'iniziale "Owls", che richiama inequivocabilmente in causa i due gufi ritratti in copertina. I suoni dicevo, sono alquanto introversi, ma ci stanno se l'intento è quello di narrare di una foresta e dei suoi misteriosi abitanti. La band di Melbourne è sapiente nel miscelare post rock con una buona dose di dark, progressive e suoni cinematici vari, per quello che è il marchio di fabbrica del quartetto australiano. Poi, chi li conosce, sa perfettamente cosa aspettarsi dall'ascolto di questo nuovo capitolo: le atmosfere spettrali che si respirano nella seconda metà della prima traccia sono un esempio delle caratteristiche dei nostri ma non solo. Io li ricordo anche come abili costruttori di break di pink floydiana memoria e a tal proposito mi viene in soccorso la settantiana e nebulosa "And the Earthly Remains". "Vestige" è caratterizzata da una stratificazione di chitarre che esibisce la tecnica-compositiva dell'ensemble, che necessiterebbe tuttavia di un bravo vocalist per dare una narrazione a quello che la band allestisce in sede musicale, e per tirarci fuori dalle sabbie mobili di un genere, a volte, troppo spesso ingessato nei suoi rigidi paradigmi. "Earthrise", song da cui è stato peraltro estratto un video, parte lenta e malinconica, ma sarà in grado di aumentare i giri del motore grazie a una splendida chitarra solista che si sovrappone a una ritmica più ordinaria. "Aire River Rapids" sembra prendere le distanze dal post rock dei primi pezzi, risultando decisamente la più pesante delle tracce, complice un robustissimo riff e un drumming bello potente. Ah, una voce un po' urlata, come avrebbe fatto comodo nelle insenature di questo pezzo, e forse ancor di più nella successiva e sinistra "Mountain Ash" che sfodera un grande lavoro sia alla chitarra solista, e ancor di più a quella ritmica, che improvvisamente s'interrompe per cedere il passo a "And the Earthly Remains". "The Green Expanse" propone il secondo video di questo lavoro: un'apertura dai tratti ambient e poi i classici suoni dilatati del post rock, per una chiusura che ha il solo difetto di risultare un po' troppo scontata nei suoi contenuti, nonostante l'eccelso lavoro svolto a livello di suoni. Il fatto è che, attenendosi troppo agli standard del genere (e penso anche al tremolo picking proposto qui), il rischio è quello di sapere già cosa ci sarà ad aspettarci nell'evoluzione di un brano, e per questo opterei, anche a piccolissime dosi, all'inserimento di una voce o anche di un parlato, che dia maggiore imprevedibilità ad un disco che ha il solo rischio, di risuonarvi nelle orecchie come già sentito. E sarebbe un peccato. (Francesco Scarci)

sabato 29 aprile 2023

Blind Ride - Paranoid-Critical Method

#PER CHI AMA: Garage Rock/Post Punk
Per Dalí, la rielaborazione razionale delle conseguenze della paranoia, ovvero le delusioni, le allucinazioni e il delirio, rappresentano il processo critico, concetto sul quale poggia la nascita del disco di debutto dei molisani Blind Ride, ‘Paranoid-Critical Method’, che esce tre anni dopo l’EP ‘Too Fast for a Sick Dog’ che ci aveva fatto conoscere la band italica. Ora il terzetto torna più in forma che mai con un sound scontroso ma atmosferico, pesante ma vellutato, il tutto certificato dall’apertura affidata a “Surrogate of a Dream” che mi conquista immediatamente con quella sua matrice ossessiva che sembra coniugare dissonante post punk e garage rock. Il post punk esplode forte anche nella successiva distorsiva “Relationship Goals”, un pezzo che per certi versi mi ha evocato lo spettro dei Fountains D.C. che vanta peraltro un fantastico lavoro alle chitarre nel finale. “For You” ci prende a schiaffi con un groviglio di riff marci quanto basta per catapultarci indietro nel tempo di una trentina d’anni (chi ha detto Sonic Youth?), con la voce di Marco Franceschelli a mandare a fare in culo il mondo intero. “Holy Arrogance” è un manifesto contro le guerre fatte in nome della religione, che si muove su una ritmica piuttosto lineare e che mostra un buon lavoro alle percussioni, al pari di quello delle chitarre. Con “Numbers” ci si muove nei paraggi di uno psych rock compassato, melodico ed ispirato, tale da renderla anche la mia traccia preferita del disco. È decisamente in questa veste più raffinata ed elegante che preferisco infatti i Blind Ride, anche se devo ammettere che il loro fare “arrogante” non mi dispiaccia affatto, come testimoniato nelle chitarre sghembe di “Corporate Rock” e nelle sue lugubri atmosfere dark punk di primi anni ’80. Una modalità che sembra ripetersi anche nella tribalità stoner psych rock di “Stranger to My Eyes”. A decretare la fine dei giochi ci pensa la frenesia pulsante acid rock della strumentale “A Song Without Words”, che sottolinea la capacità dei Blind Ride nel districarsi positivamente in territori musicali battuti e strabattuti. Bravi! (Francesco Scarci)

giovedì 23 marzo 2023

Secrets of the Moon - Stronghold of the Inviolables

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Black/Dark
Quello di oggi è il cd di debutto per i tedeschi Secrets of the Moon (scioltisi ahimè lo scorso anno/ndr), che tra le loro fila vantavano ex-membri dei Martyrium, band attiva nei primi anni '90. Questo cd ci permette di conoscere una band che ha evoluto il proprio stile attraverso le precedenti releases (due demo, un promo, ed un 7" split con i Lunar Aurora), mostrando qui un suono meno melodico e sicuramente più oscuro, cosa dovuta ad una produzione più curata. Le influenze musicali sono tutte provenienti dalla scena nordica, con i Celtic Frost che fanno capolino di tanto in tanto, per una band che comunque non ha paura di sperimentare, pur restando sempre "nera". Dalle parti tiratissime fino ad ampie parti dark & slow, arrivando a quella che secondo me è una della migliori tracce "synth-based" che ho avuto modo di ascoltare negli ultimi tampi, "The Rise of Mercury". Qualcosa in più è stato aggiunto alla scena black metal. Se volete ascoltare qualcosa di interessante, ma saldamente ancorato nelle radici del black, non resterete delusi.

giovedì 9 marzo 2023

Cave Dweller - Invocations

#PER CHI AMA: Noise/Ambient/Dark
Il nuovo album di Cave Dweller, ovvero Adam R. Bryant, ex membro della band post black metal americana Pando, è stato concepito come una lunga colonna sonora, con l'idea stessa di emanare una visione simbolica del rapporto che lega l'uomo alla spiritualità della natura. Un concetto profondamente radicato tra le note della musica di questo uomo delle caverne, che si fa notare fin dal significato del moniker scelto dall'autore stesso. Le danze si aprono con una voce che recita sopra una rarefatta base, acustico ambientale ("An Invitation"), morbida ed eterea per proseguire nella oscura parvenza di "To Accept the Shadow", che ricorda le trame delle musiche più cerebrali dei Virgin Prunes (vedi la splendida raccolta 'Over the Rainbow'), con un piano nostalgico e amaro a condurre le musica, per poi finire a deragliare su di un finale dark/ambient, con la presenza ritmica di una percussione metallica, che sonda i terreni dei lavori, tutti da scoprire, del progetto mistico/ambient russo, Enoia. Da qui, si viene traghettati in modo naturale, verso la splendida "Bird Song". Questo brano era già presente nel precedente ottimo EP, 'Between Worlds', ed è una traccia che vanta un cantato fragile, drammatico ed epico, con una chitarra solitaria dall'animo grigio e un'evoluzione in stile folk black, che fa riscoprire tutta la forza artistica di questo atipico menestrello del Massachusetts. L'arte di Cave Dweller è sotterranea, rurale fino al midollo, criptica, sperimentale e la si apprezza solo se si colgono i dettagli di registrazioni fatte con smartphone, rumori, fruscii e suoni non convenzionali, particolari sparsi un po' ovunque con genialità e la consapevolezza di creare qualcosa di profondamente evocativo. Un'opera di 44 minuti che evolve le sperimentazioni dell'autore in vari ambiti, folk apocalittico, ambient, alternative country, neofolk, senza prendere a prestito niente da nessuno, per un viaggio personale e originale. Suoni d'ambiente, uccelli in sottofondo, gabbiani, noise, oppure una tiepida batteria di matrice jazz, per rendere più accessibile la ballata noir, minimalista, "Entelechy". Un sound tribale e oscuro, con conseguente esplosione black industriale, nello stile della sua precedente band, dona con vigore, una facciata ipnotica e cosmica al lungo brano intitolato "Mirror". Ma la differenza in chiave di bellezza estrema, la troviamo nella canzone conclusiva intitolata "Solastalgia", dove il solo campione di voce simil lirica/sciamanica, che persiste in sottofondo di tutta la traccia, fa onore all'arte di questo musicista unico e impareggiabile nella sua esplicita arte sonora isolazionista, fredda, rumorista e lo-fi, contornata da psichedelia cosmica ed un cristallino folk, con uno spirito etnico proveniente da qualche sistema solare sconosciuto, che rievoca un vero e proprio risveglio interiore. Un album in veste concettuale, che rispecchia un po' la forma del gioiello sonoro quale fu, 'The Inspiration of William Blake' di Jah Wobble, ovviamente da accostare solo come intuizione compositiva, non come stile musicale, visto che i due artisti sono agli antipodi stilistici, ma convergono entrambi per una libertà d'espressione molto proficua. 'Invocations' è stato creato e mixato dallo stesso Bryant in un arco di tempo piuttosto lungo, tra il 2018 e il 2021, e si presenta come un resoconto del suo percorso sonoro, quindi da considerarsi come una specie di diario di bordo delle sperimentazioni che hanno dato vita al primo splendido album del 2019 (sotto il titolo 'Walter Goodman – or the Empty Cabin in the Woods') e l'EP sopracitato del 2021. Una musica intimista tutta da scoprire ed apprezzare, per cui consiglio di ascoltare prima questa raccolta introduttiva, per poi passare in ordine temporale, alle altre due ottime opere di questo valido autore. (Bob Stoner)

venerdì 3 marzo 2023

Paul Chain - Park of Reason

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Psych Rock/Dark
Veramente malata questa fatica di Paul Chain. Atmosfere dark come da tanto non ne sentivo, pura ossessione creata dalle tastiere che, nella loro prevalente lentezza, sembrano insopportabili, complice una durata medio-alta delle canzoni. Non manca la sperimentazione noise, come la quinta "War Abysses" mostra egregiamente. La voce, pur essendo pulita, è strana, monotona ma seducente all’ascolto. La lentezza, ribadisco, regna disperata assopita solo da qualche spunto stoner. Paul ha composto quasi tutte le canzoni, eccetto la settima traccia, cover dei Saint Vitus. Mantenendo la sua ispirazione dark, Mr. Chain è riuscito ad evolvere e trovare, attraverso alcune sperimentazioni/improvvisazioni soluzioni originali che fanno sicuramente onore ad un pioniere come è Paul. La produzione è ottima: ascoltate più volte "Wings of Decadence" e scoprirete come determinati suoni sappiano diffondere atmosfere già di per sè allucinanti. La undicesima "Logical Slow Evolution", in verità, è composta da due canzoni sovrapposte, registrate in mono, che possono essere ascoltate in tre modi differenti: se si porta l’equalizzazione a sinistra si ha "Logical Slow Revolution". Se invece si sposta l’equalizzatore a destra, si può ascoltare "… In Time". Con l’equalizzazione bilanciata, non sono sicuro del risultato che si può ottenere, forse questo esperimento si può gustare maggiormente con un buon impianto stereo. Comunque tutto è azzeccato, e Paul non ha fatto che confermarsi. L'unica nota che mi rende perplesso, è il linguaggio usato in queste canzoni. Nella prima pagina del booklet è riportato che ciò che canta Paul Chain, è "purely phonetics", mah...

(Beyond Productions - 2002)
Voto: 73

https://www.facebook.com/paolocatena4/

giovedì 12 gennaio 2023

Nenia - La Casa Del Dolore

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Dark Ambient
Meravigliosamente agghiacciante il primo disco di Nenia, gravido di desolazione e morte sin dai primi secondi. Musicalmente 'La Casa del Dolore' è composto da lenti e minimali brani oscuri che potrei classificare come dark ambient sperimentale rischiando di non riuscire ad essere sufficientemente esplicativo poiché il gruppo, per tutta la durata di questo capolavoro oscuro, dimostra di essere personale e capace, libero di sperimentare ed esprimersi senza alcun timore. È esaltante la sensazione di immobilità e morte che sprigionano gli otto stupendi brani da incubo per quaranta minuti di morte totale… Hell yez! "Alone" è un notturno per pianoforte che scandisce il movimento delle onde di un mare che trasporta “… una nave senza vita…”, "L’Ultima Stagione" è il sentore della fine ormai prossima (“sento le bestie farsi vicine/ il loro respiro tutt’intorno…”), "Dottrina Psichica" scandisce invece il ritmo delle gocce che riempiono il vaso, in attesa dell’ultima goccia che lo faccia traboccare. Con i Nenia ci si trova ad assistere ad un funerale con le sue noiose ritualità, le futili credenze e i luoghi comuni; poi l’ultimo brano "De Morte Transituri Ad Vitam" ed è la fine.

giovedì 8 dicembre 2022

Solitär - Bus Driver Immigrant Mechanic

#PER CHI AMA: Psych/Dream Pop
Il polistrumentista svedese, Mikael Tuominen, già presente in formazioni del calibro di Kungens Män e Automatism, si cimenta in un primo disco solista, uscito via Tonzonen Records, carico di atmosfere dense, intrise di intimità e ispirazione. Il canto sempre quasi sommesso e schivo, si presta molto bene alla forma di psichedelia che l'autore mischia spesso a fattori folk e post rock, melodie luminescenti, spesso ipnotiche ed estatiche. Si parte con "Electric Sea", un bel brano dai tratti desertici, un'evoluzione corale e mantra doorsiani con una buona dose di ricordi, che portano alle sonorità di "Fire Walker" dei Black Rebel Motorcycle Club, uno stile che ritroviamo peraltro in molte parti dell'album. "Ship of Excitement" inizia con un sound che ricorda certe cose dei Cocteau Twins per leggerezza e utilizzo delle chitarre, mentre "Concrete Spaceship", cerca di aumentare il ritmo senza aumentare il rumore, creando un'atmosfera surreale e sospesa, con un uso del noise guitar molto intelligente. A sorpresa in una veste psych folk sommessa e sofferta, avvolta in una luce abbagliante, Solitär si cimenta in una versione originalissima di "The Price", la storica canzone dei Twisted Sister, ottenendo davvero un bel risultato. 'Bus Driver Immigrant Mechanic' evolve brano dopo brano, pur rimanendo in un contesto di musica ipnotica e statica, elettronica e minimale, shoegaze, un post rock di scuola Mùm con qualche richiamo a certa psichedelia evoluta in stile Legendary Pink Dots. Le atmosfere soffuse richiamano magma sonori notturni come la versione di "Satellite of Love" di Milla Jovovich in "Million Dollar Hotel", dotata di un umore malinconico ma sognante. "Spegel Spegel" potrebbe essere un brano dimenticato in qualche cassetto dei Crime and the City Solution, suonato dai Mercury Rev, mentre per "It Rains" potremmo scomodare Hugo Race e la sua musica lunare. La cupa "A Flash in a Glass Jar" è figlia di certa new wave di classe, e sfodera sonorità vicine agli Echo and the Bunnymen, con un lento incedere e tappeti di tastiere maestosi all'orizzonte, con una coda finale assai cinematografica. Chiude il cerchio la brevissima e acustica "Brus", l'unica traccia cantata in lingua svedese, per il resto la lingua utilizzata è quella della terra d'Albione. In definitiva, devo ammettere che 'Bus Driver Immigrant Mechanic' è un album intrigante, profondo e molto sofisticato, certo non è d'impatto e non funzionerà tra i rockers più duri e puri, ma per chi cerca buona musica introspettiva questa è proprio una valida alternativa. Un disco ragionato e ben prodotto con suoni caldi, profondi e intimi, un disco per tipi solitari a tutti gli effetti. (Bob Stoner)

sabato 17 settembre 2022

1/2 Southern North - Narrations of a Fallen Soul

#PER CHI AMA: Occult Doom Rock
Della serie Les Acteurs de L’Ombre Productions colpisce ancora, ecco arrivare gli evocativi 1/2 Southern North con un esempio di dark doom occulto. ‘Narrations of a Fallen Soul’, primo capitolo della one woman band greca guidata dalla sacerdotessa IDVex Ifigeneia, si apre con la lunghissima “Alpha Sophia” che prova a darci le prime indicazioni della proposta dei nostri. Oltre dodici minuti di suoni oscuri, compassati, esoterici, psichedelici, deliziati dalle vocals della frontwoman ellenica. Il sound dei 1/2 Southern North mi ha evocato quello dei californiani Lotus Thief, abili miscelatori di psych rock, ambient, space, post e un non so che di black metal. Qui ci troviamo al cospetto di un’artista che si muove su coordinate similari e che fa sicuramente della propria voce l’elemento portante e distintivo che va poi a poggiare su atmosfere orrorifiche che vedono peraltro la presenza di una sgangherata partitura di violino nella title track a cura di Efraimia Giannakopoulou, una dei tanti ospiti che popolano questa release. “Hearts of Hades” affida la sua parte introduttiva ad una declamazione in greco che poggia su suoni di flauto e tamburo. L’effetto è sicuramente particolare, soprattutto quando la voce della cantante si fa più suadente, anche se otto minuti di questo tipo rischiano di frantumare i neuroni anche dei più stoici. E la ridondanza sonora è uno dei must di questo lavoro: ascoltatevi la parte introduttiva di “Breastfeed Your Delighful Sorrow” e ditemi se anche voi come il sottoscritto avete perso la pazienza dopo i primi 60 secondi. Poi il brano evolve in un crescendo melodico accattivante, tra parti atmosferiche, altre arpeggiate, ma che tuttavia rischia di stancare per la sua eccessiva durata, un’altra peculiarità di un disco che raggiunge I 67 minuti di durata con pezzi che si assestano tra gli 8 e i 12 minuti. L’unica eccezione è rappresentata da “Song to Hall Up High”, storica song dei Bathory dei tempi di ‘Hammerheart’, riletta completamente in chiave avanguardistica dai nostri, ma mantenendo intatta l’epicità dell’originale, “sporcandola” semmai di influenze noise/droniche. A completare il quadro delle canzoni incluse in questo disco, ci sono ancora l’inquietante “Elegy of Hecate”, forse il brano più sperimentale e progressivo del lotto che mi ha evocato peraltro anche un che dei Thee Maldoror Kollective di ‘Knownothingism’. Infine, gli oltre 12 minuti di “Remnants of Time”, un pezzo che ammicca addirittura al jazz e in cui a trovare posto sarà questa volta il sax di George Kastanos. Quello dei 1/2 Southern North è alla fine un lavoro davvero ambizioso, concettualmente interessante ma decisamente ostico musicalmente parlando, che pertanto necessiterà di svariati ascolti per essere assimilato. (Francesco Scarci)

(LADLO Productions/Satanath Records/Fog Foundation - 2022)
Voto: 68

martedì 13 settembre 2022

Greyswan - Promo 2001

BACK IN TIME: recensione gentilmente concessa da Nihil Zine
#PER CHI AMA: Gothic/Dark
In che genere inquadrare i nostri Greyswan mi è abbastanza arduo. La definizione più giusta, secondo me, sarebbe quella di un gothic-doom metal molto malinconico, improntato su un buon lavoro della chitarre che incedono in riff ben articolati e in ritmiche semplici ed azzeccate. Discreta la voce che si esprime in un cantato pulito; nella seconda track noto una certa somiglianza con alcuni toni tipo Moonspell. Musica semplice ma ben articolata, dai toni soffusi ed allo stesso tempo depressi ed incazzati. Una nota particolare vorrei dedicarla ai testi, che con mio gran piacere ho trovato inclusi. Da notare la prima song, “Sleepless Night”, un manifesto al self-hateing, dove la solitudine la fa da padrone: un testo quasi degno del primo Nick Cave. Non posso dire che questo sia un masterpiece metal, ma la sua bella figura, tra le decadenti note di chi vive nella notte, la può fare benissimo.
(Self - 2001)
Voto: 68

martedì 24 maggio 2022

Nechochwen - Kanawha Black

#FOR FANS OF: Black/Dark/Death
West Virginia-based duo Nechochwen returns with the long-awaited album as its predecessor saw the light of the day seven years ago. It’s a lot of time, though the band remained active, releasing a couple of splits and some other stuff. But as you know, a long length is always the best indicator of how a project is evolving and I was curious to see what Nechochwen could offer with this new opus, titled 'Kanawha Black'. The new work has been released again by Bindrune Recording and Nordvis, which is always a sign of confidence in what a project has composed. Founded back in 2005 Nechochwen has fused black metal with some folk and neofolk influences, and lyrically they have been strongly influenced by the Appalachian lands. Their interest in the Native American traditions is always a plus for me, so it is undeniable that this project is trying to create something personal.

'Kanawha Black' is a quite different album, particularly in terms of pace and general tone that the band tried to give to each song, aiming at creating pieces with a distinctive touch. The album is opened by the vigorous and powerful song "Kanawha Black". It’s a straightforward song with an excellent work in the guitars and a fast pace, that in any case has its ups and downs that make it very entertaining. The main aggressive vocals are combined with some clean ones, which makes a strong contrast with the first ones, I personally prefer the aggressive ones in this case, but I guess it’s a matter of feeling as they clean vocals are well executed and have nothing particularly negative to mention. The aforementioned neofolk and folk influences appear more clearly in the next songs, for example "The Murky Deep" and "I Can Die but Once", with these characteristic acoustic guitars. As it is typical in this genre, its influence gives a much more melancholic touch to the songs. The pace is also slower, and the songs have in general a sombre tone. This dark touch and slower pace reach its momentum with the song "A Cure for the Winter Plagues". This is for sure, the most different song as it is particularly slow and dark. I even describe it as a doom/death song, especially due to the main vocals with their deeper tone and the trademark growls of the death metal genre. The background vocals and arrangements give a quite ethereal touch to this composition, even though it remains to be a quite dark song. From this point the album clearly speeds up with faster songs more similar to the album opener. "Visions, Dreams, and Sings" is maybe my favourite track of this second half and one of the highlights of the whole album. It is a punch in your face thanks to its aggressive vocals and faster pace. The guitar work is again excellent, and the riffing remains in your mind after the end of the track. Being a faster song doesn’t mean that it’s a monotonous one, none of that, mid-temp and slower sections can be found too, and the acoustic guitars make its appearance to enrich the track. The last two songs have similar patterns as they intelligently combine some of the heaviest sections with the acoustic and darker ones, making them a merry-go-round of intensity with their changes of pace and tone. Vocally, the effort to include some variety is also there. Not only with the combination of aggressive and clean vocals, but also mixing black metal and death metal influenced voices, which are appropriately placed in the different songs.

In general terms, 'Kanawha Black' is a quite good album. It seems clear to me that there is a decent amount of work behind these compositions. The duo really tries to make songs with a particular tone and sound, mixing different influences and introducing arrangements to enrich them. (Alain González Artola)


(Bindrune Recordings - 2022)
Score: 78

lunedì 16 maggio 2022

Vaina - ✥ FUTUE TE IPSUM ✥ Angel With Many Faces

#PER CHI AMA: Black Sperimentale
Il buon Stu Gregg, mastermind della Aesthetic Death, prosegue con la ricerca di band "particolari" da inserire nel proprio roster. Dopo Goatpsalm e Horthodox recensiti dal sottoscritto, non del tutto felicemente qualche mese addietro, ecco un'altra stramba (giusto per non cadere in aggettivi più disdicevoli) creatura per l'etichetta inglese. Si tratta dei finlandesi Vaina, una band che fa del "non sense" musicale (giusto per citare anche il titolo di un loro vecchio brano) la propria filosofia musicale. Dopo 'Purity' del 2019, un EP ('Futue Te Ipsus' incluso in questo stesso disco) ecco la nuova proposta della one-man band guidata dallo stralunato Santhir the Archmage, uno che a quanto pare, si è svalvolato il cervello durante il suo primo e unico concerto live, decidendo fondamentalmente di non dare più alcun riferimento stilistico alla propria proposta. Pertanto '✥ FUTUE TE IPSUM ✥ Angel With Many Faces' segue queste regole, decidendo di partire con "Oppenheimer Moment", una song tra l'ambient e il drone, su cui possiamo tranquillamente sorvolare. Con "I1" le cose si fanno più strane ma al contempo interessanti: si tratta infatti di un pezzo black acido, originale, ritualistico, con una base melodica affidata ai synth davvero evocativa, sommersa poi da vocals urlate ed altre declamate. La pseudo normalità dura però solo tre minuti degli otto abbondanti complessivi della song, visto che poi l'artista finnico imbocca una strada tra l'esoterico, il dungeon synth, l'ambient e per finire una bella dose da cavallo di sperimentazione sonora (con suoni sghembi di scuola Blut Aus Nord) che sembra nascere da un'improvvisazione estemporanea. "HCN" ha le sembianze dell'intermezzo orrorifico, consegnata quasi esclusivamente a synth e tastiere. La tappa successiva è affidata a "Yksikuisuus", un pezzo che cresce musicalmente su basi tastieristiche oggettivamente suonate male, ma comunque dotate di un'aura cosi mistica che sembra addirittura coinvolgermi. Non vorrei cascarci come l'ultimo dei pivelli, ma l'egocentrico musicista finlandese suona quel diavolo che gli pare, passando da delicati momenti di depressive rock/dark/post punk contrappuntato da una rutilante (quanto imbarazzante) drum machine che, inserita in questo contesto, trova comunque il suo filo logico, soprattutto in un epico e maestoso finale symph black. Questo per dire alla fine che Santhir the Archmage è davvero penoso a suonare, eppure tutto quell'entropico marasma sonoro che prova a coniugare in queste tracce, trova stranamente il mio consenso. Se dovessi trovare un termine di paragone con una band, citerei i nostrani Hanormale, con la sola differenza che quest'ultimi hanno fior fiore di musicisti. Il delirio musicale prosegue attraverso l'EBM di "About:Blank" (ecco la classica buccia di banana su cui scivolare) e il black avanguardistico di "Raping Yer Liliith" (assai meglio). "πυραμίς" ha un incipit stile 'Blade Runner' che perdura per qualche minuto prima di lasciare il posto ad una proposta indefinibile tra derive ambient burzumiane, deliri alla Abruptum e rimandi agli esordi malati dei Velvet Cacoon, ecco non propriamente una passeggiata da affrontare visti anche i quasi undici minuti di durata del brano. Esoterismo rap per "--. .-. . . -.", un'altra song davvero particolare che forse era meglio omettere per non toccare la sensibilità degli adepti dei Vaina. "Todestrieb" è un altro intermezzo noise che ci introduce alla conclusiva "Minä + Se", gli ultimi undici deliranti minuti di questo estenuante lavoro (un'ora secca). La song saprà inglobarvi ancora nel mondo disturbato e visionario di Santhir con suoni tra elettronica, black, drone, ambient, liturgico, sperimentale, horror, dark e tanta tanta follia suonata alla cazzo di cane ma sancita da un bell'urlaccio finale volto a Satana. Non ho ben capito se Santhir ci faccia o ci sia, fatto sta che questo lavoro meriterà altri ascolti attenti da parte del sottoscritto. (Francesco Scarci)

mercoledì 6 aprile 2022

Taumel - Now We Stay Forever Lost in Space Together

#PER CHI AMA: Dark/Jazz
Il buon Bob si era divertito a recensire il debut album dei teutonici Taumel, sempre in bilico tra doom, dark e psych jazz. E cosi ero curioso anch'io di mettermi alla prova con la stravagante creatura di Jakob Diehl, lo "Sconosciuto" della serie Dark, che torna con la seconda parte del ciclo musicale chiamato 'TRAUM'. Questo secondo capitolo, dal breve titolo 'Now We Stay Forever Lost in Space Together', racchiude cinque nuove oscure e psichedeliche visioni del poliedrico artista tedesco. L'album si apre con "Now" che nei suoi suggestivi giochi di chitarra mi evoca immediatamente i Pink Floyd. Le analogie con la band inglese e tutto il seguito che si è portato dietro nel tempo, sono tangibili nei chiaroscuri del quartetto di Rheda Wiedenbrück, con sonorità che potrebbero essere accostabili anche alle colonne sonore prodotte dagli Ulver, quelle di 'Lyckantropen Themes' e 'Svidd Neger', tanto per capirci, anche se quanto composto dai Taumel suona decisamente più pensato ed articolato nella sua stravagante forma musicale. "We Stay", la seconda song, ha un piglio decisamente più improvvisato anche se la sua prima parte potrebbe essere usata come colonna sonora per il mio funerale. Dal terzo minuto in poi, le atmosfere si fanno più stralunate, e quanto messo in scena sembra più frutto di una jam session che altro, un incontro tra artisti jazz, kraut, doom, blues, psych e chi più ne ha più ne metta, visto che non sarà cosi semplice accostarsi a tali sonorità. E non importa che il tutto sia esclusivamente strumentale, i vari strumenti esplicano qui il ruolo di mille voci differenti. Con "Forever", l'atmosfera si fa ancora più noir: mi immagino uno di quei locali fumosi anni '60, con un sassofonista che suona minimaliste melodie di un altro tempo, mentre la gente attorno non si accorge di quell'omuncolo che in realtà è un artista fenomenale che ahimè nessuno comprende. E quel senso di vuoto che risiede nella sua anima si manifesta attraverso suoni glaciali e al contempo caldi, difficile da spiegare, ancor di più da capire. È con "Lost in Space" che si parte invece per galassie lontane, dove il propellente è rappresentato da strambe melodie aliene espletate da inaspettati strumenti musicali in mondi surreali che sembrano dipinti da Salvador Dalí, De Chirico o più recentemente da Willem den Broeder. Il disco chiude con "Together", l'ultima stravagante espressione musicale di 'Now We Stay Forever Lost in Space Together' (l'avevate notato vero che il titolo del disco non sono altro che i titoli dei brani?), in un viatico triste e deprimente di sonorità surrealistiche tra il suono di una tromba ed effetti vari che sanciscono la genialità di un ensemble quasi unico nel suo genere. (Francesco Scarci)