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sabato 24 febbraio 2018

Darius - Clôture

#PER CHI AMA: Post Metal strumentale, Bossk, Pelican
Torna la Czar of Crickets Productions con un'uscita nuova di zecca, come sempre "made in Switzerland". I Darius, che già abbiamo avuto modo di conoscere col loro debut album 'Grain', tornano con un EP di quattro pezzi devoti ad uno strumentale mix tra sonorità in bilico tra post metal e post rock. "Glaucal" ha l'onere di aprire le danze, con la sua flebile intro che assai presto farà posto alla robustezza delle chitarra del duo formato da Yannick e Sylvain, e poi ad una serie di cambi ambientali. È un po' come se passassimo da una stanza estremamente illuminata ad una con delle luci decisamente più soffuse e allo stesso modo, i cinque ragazzi di Bulle, passano da momenti più pesanti ad altri più delicati, con un risultato anche alquanto soddisfacente, peccato solo che manchi una componente vocale ad alleggerire una proposta forse un po' troppo monolitica sin dall'inizio. Si perché poi le cose, non cambiano granché con "Charlotte" e le seguenti "Pipistolet" e "Trace": si confermano delle introduzioni ai brani a base di chitarre acustiche e suoni da penombra, a cui si susseguono riffoni pachidermici e leggiadri momenti di quiete. In "Charlotte" ad esempio, il preambolo che porta al dirompente lavoro ritmico, si dilata in accordi sognanti un po' ripetitivi, che soddisfano, ma non so fino a che punto, l'ascoltatore. Questo perché, pur essendo le melodie buone, la produzione bombastica e le escursioni in territori ambient azzeccatissimi, il lavoro suona nelle mie orecchie come incompiuto, manca sempre quel qualcosa in grado di guidarmi nell'ascolto, nel trascinarmi in slanci emotivi, come solo una voce sa fare. Scusate se insisto, avete tutto il diritto di dirmi che ci sono band che hanno basato il loro successo solo ed esclusivamente sui loro suoni anziché su di una voce, ma io posso anche rispondervi che forse quelli sono dei fenomeni, mentre ai Darius manca ancora quel quid che mi induca a considerarli tali e quel qualcosa nella loro musica capace di condurmi piacevolmente in un porto sicuro. La band, seguendo le orme dei Pelican, dei Bossk o dei Russian Circle, alla fine risulta troppo aggressiva per i miei gusti per proporre un simile sound senza l'apporto di un vocalist, anche se l'ultima "Trace" sciorina diversi minuti di sonorità eteree prima di decollare. Per quanto strumentalmente bravi, i Darius hanno larghissimi margini di crescita, che io sfrutterei nel migliore dei modi, per staccarmi da una scena che vedo in inesorabile declino. (Francesco Scarci)

(Czar of Crickets - 2018)
Voto: 65

domenica 17 maggio 2015

Darius - Grain

#PER CHI AMA: Post Rock/Alternative/Post-core
I Darius sono una quintetto strumentale svizzero che debutta in questo 2015 con un album intitolato 'Grain', uscito via Hummus Records, carico di energia cinematica vicina al post-core e immerso nella malinconia più profonda del più classico post-rock. Niente di nuovo all'orizzonte: un'ottima produzione, chiaro scuri fruibili e intelligenti, melodie godibili e avvolgenti, suoni pesanti all'occorrenza e costruzioni lunghe, per un totale di circa cinquanta minuti di full immersion nel genere che vide i 35007 reali assoluti portabandiera. Non ci sono gli estremi per entrare totalmente nella categoria stoner e nemmeno la pesantezza per spacciarsi per sludge metal. La composizione musicale si evolve bene in tutte le tracce, alcune più fantasiose delle altre e mostrando una alta qualità, con suoni e pulsazioni vibranti. Le aperture strappano applausi e qui si sentono influenze canoniche ma efficaci, che passano dai Cult of Luna agli Isis; in alcuni tratti si calca la mano verso le escursioni ambient dei migliori e già citati 35007, gli immancabili Mogwai e i Mono, anche se i Darius suonano in maniera più dura e meno sognante. Immagino non sia facile emergere in un settore stantio come questo, che da anni gira e rigira sempre sulle stesse evoluzioni con pochissimo margine di innovazione. Quindi valutando la staticità di un genere così saturo, possiamo decantare le qualità di 'Grain' come una piccola vittoria raggiunta da questi musicisti svizzeri che, malgrado il sold out del post rock, riescono a ritagliarsi un palco su cui esibirsi e risultare interessanti e personali, nonostante l'affollata concorrenza di categoria. L'album deve essere ascoltato tutto d'un fiato, sebben la sua durata non sia indifferente, per apprezzarne a pieno l'atmosfera e lasciarsi trasportare dalle emozioni sonore. Arduo trarre una classifica dei brani migliori poiché tutti si mostrano senza lacune, di ottima qualità e carichi di una peculiare ricerca della perfezione; ottimi infine i musicisti, peraltro molto navigati, calati perfettamente nel loro ruolo. Consigliati vivamente ai devoti del post rock con indole alternative metal. (Bob Stoner)

(Hummus Records - 2015)
Voto: 75