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sabato 10 settembre 2016

Crown of Asteria - Karhun Vakat

#PER CHI AMA: Cascadian Black/Folk/Ambient, Panopticon
La one-woman band mi mancava. Di esempi musicali con un unico mastermind uomo ne abbiamo visti passare qui nel Pozzo dei Dannati a bizzeffe, quest'oggi m'imbatto invece per la prima volta in un progetto la cui unica mente è donna, Meghan Wood, una giovane donzella del Michigan, che dal 2011 a oggi, ha prodotto una serie infinita di album/EP/split e demo con i suoi Crown of Asteria. La proposta dell'act statunitense oscilla tra un ipnotico e sognante ambient (la opening track, "Tietäjä", ne è un esempio), un black glaciale ma atmosferico e aperture folk, a suggerirmi l'amore di Meghan per gli Agalloch ed in generale per il movimento cascadiano americano, in cui meglio vedrei collocato il sound della donna di Bancroft. Detto questo, ne esce un album, 'Karhun Vakat', dal sapore mistico e ancestrale, che impressiona per la ferocia del suo riffing primordiale in "The Golden Light of Birchwood Temples", lo screaming efferato della sua vocalist, ma che sa anche conquistare per la melodia dei suoi frangenti più folk-acustici, che emergono ben più forti e conditi da una componente etnica, che in un qualche modo sembrerebbe pescare dalla cultura indiana, nella terza "Hongotar". Tuttavia, cercando sul web il significato dei titoli di alcune canzoni, mi sembra di intuire in realtà che la sciamana statunitense tragga ispirazione dalla tradizione magica finnico-careliana, ma avrò modo di investigare a tal proposito. Nel frattempo proseguo con l'ascolto del disco e arrivo a "Sky-Nail" e ad un black qui più cupo ed epico, ma dalle aperture chitarristiche davvero azzeccate che per certi versi mi hanno rievocato il sound dei Dissection. C'è comunque un certo misticismo di fondo nella musica dei Crown of Asteria, e nell'originalità stravagante di un suono che ahimè pecca nella pulizia dei suoni, produzione e mastering, sulla scia di quanto fatto dai primi Panopticon. Io comunque mi fido e mi lascio sedurre da Meghan e dalla quinta "Black Antlers Above the Lodge", un pezzo strumentale di oltre otto minuti, che vira verso un death dagli epici sentori. Il caos sonoro prosegue con "Väki", che ancora sembra rievocare poteri magici dell'antica mitologia finlandese in un movimento ondulatorio straniante che mi ha ricordato i nostri Laetitia in Holocaust e le loro soluzioni estremiste d'avanguardia; peccato solo per i volumi che oscillano fastidiosamente, altrimenti questa poteva essere una bomba di allucinazioni perverse e iraconde. Giungo alla conclusiva e in versione live acustica, "Kallohonka", che dovrebbe rappresentare il pino ove appendere i teschi degli orsi dopo le feste pagane e ai cui piedi ne venivano sepolte poi le ossa, una song che chiude il disco cosi come lo aveva iniziato. Peccato per la produzione casalinga e quella sensazione ricorrente di ascolto di un demo anziché di un full length, , ma forse è voluto come effetto. Sono certo che con un budget ben più corposo, qui staremo parlando di un qualcosa di davvero interessante. Dimenticavo, quest'album è di marzo 2016, nel frattempo sono già usciti due EP e uno split. Forte la ragazza. (Francesco Scarci)

(Self - 2016)
Voto: 70