Cerca nel blog

Visualizzazione post con etichetta Burned in Blizzard. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Burned in Blizzard. Mostra tutti i post

venerdì 5 aprile 2013

Burned in Blizzard - Whiteout

#PER CHI AMA: Thrash Melodico
L’occhio inquietante della copertina del cd mi guarda da un po’ troppo tempo: ok a noi due. I Burned in Blizzard arrivano da Riga, l’idea del gruppo nasce nel 2010 e si completa nel 2011. Ecco la line-up: Karl Kalvish (voce/chitarra), Matt Claveiniuss (chitarra/voce), Robert Tsesheiko (batteria), Roland “Joe” Ignatyev (basso/voce). Sì, avete visto bene: tre vocalist. No, non cominciate ad alzare il sopracciglio con quell’aria poco convinta. Sì va bene, l’ho fatto anch’io, però guardate che ne uscirà un lavoro fatto bene. Giuro. A questo punto, uno si potrebbe aspettare un prodotto thrash melodico, dove le doti di tre voci vengono messe un po’ qua e là, magari in maniera spiccatamente posticcia. Una cosa del tipo: facciamo delle tracce belle cattive, con un cantato growl onnipresente, dei riffoni tiratissimi, una batteria che neanche il motore di un trattore picchia così, un basso giusto accennato e poi ci aggiungiamo dei cantati più melodici; così ci esce una cosa super meticcia e ci facciamo una bella figura come band eclettica. No, secondo me, qui le possibilità di una tale assortimento canoro sono state sfruttate per bene. Forse la band ha detto qualcosa del tipo: va bene, il genere che ci piace lo sappiamo, partiamo dalla nostra dote di vocalist, usiamola come base e creiamoci intorno delle song come diciamo noi. Facile a dirsi, meno a farsi. Però i nostri sono stati in gamba, hanno fatto un platter equilibrato. Nelle varie tracce si avverte anche lo sforzo compositivo nella continua ricerca di soluzioni e suoni. Le parti strumentali veloci si mescolano bene con quelle più tranquille. E lo stesso fanno le diverse voci, ognuna portando una sfumatura diversa. L’anima strumentale e quella canora si amalgamano in modo abbastanza personale, in cui gli episodi sono quasi sempre riusciti. Alcune cadute infatti ci sono e ci stanno, come è fisiologico che sia, specie nelle tracce più lunghe. Spiccano “Welcome” per la sua carica energetica, le più introspettive “Bloodlees” e “Burn” e la bonus track “Motors” (cantata in lingua lettone, ma non ci giurerei...). Menzione a parte la merita per la strumentale “The Heart”, che sembra venire fuori da un altro album, le cui sonorità variegate, il suo crescendo e il finale sfumato, alla fine mi hanno davvero colpito. Trovo invece in “SinPathetic” una certa mancanza di coerenza che la rende inferiore al resto delle tracce. Pollice decisamente alto, e voi ora potete abbassare quel sopracciglio! (Alberto Merlotti)

(Self) 
Voto: 80