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venerdì 6 dicembre 2013

Blizzard at Sea – Certain Structures

#PER CHI AMA: Post/sludge, Cult of Luna, Neurosis
Bene, dopo i Ghosts at Sea (recensiti su queste pagine giusto lo scorso mese), arrivano alle nostre orecchie i Blizzard at Sea... insomma ci dev’essere qualcosa di grosso che bolle sotto questo beneamato mare, perché tutti quelli che ci fanno una capatina se ne tornano a casa con risultati strabilianti. Americani dell’Iowa, il trio di ragazzi ci propone il loro full-lenght d’esordio (dopo due validissimi EP che vi consiglio di recuperare – 'Invariance' e 'Individuation', entrambi recensiti ed incensati qui nel Pozzo), composto da nove pezzi che... beh, come posso dire... ok, ci provo con questo esempio: immaginate di essere legati da catene e trascinati a forza da un escavatore (che non brilla certo per velocità sostenute) lungo una bella distesa di deserto roccioso pieno zeppo di sassi e punte acuminate, sotto un sole cocente, completamente ricoperti di polvere. Ecco, ora immaginate che al termine di tale avventura qualcuno vi liberi da queste catene e, alzandovi in piedi tutti belli rotti e doloranti, l’unico pensiero che abbiate in testa reciti grossomodo così: “Cazzo, rifacciamolo!!!”. Spero di aver reso l’idea perché, se vi fidate del sottoscritto e concedete un ascolto a questo album, sono abbastanza sicuro che almeno qualcosa delle sensazioni che ho provato a descrivervi le ritroverete. Stiamo parlando di un lavoro ispirato, duro, un post-metal intriso di sludge che certo guarda indietro verso i “soliti” mostri sacri citati più e più volte in tante recensioni (Neurosis, Cult of Luna, The Ocean...), ma che si limita solo ad uno sguardo: i ragazzi non hanno fatto un passo indietro che sia uno da dove li avevamo lasciati, continuando sulla strada del “suonare quel che ci pare e piace”, e guai se non fosse così. Vi martelleranno per bene e vi ipnotizzeranno, concedendovi in dono l’equivalente di un kilometro di carta vetrata grana grossa strofinata con maestria su ogni centimetro quadrato della vostra pelle. Voce, chitarra, basso e batteria, nulla di più, per erigere un muro sonoro pronto a crollarvi addosso. Nove tracce accomunate dall’unico difetto di esaurirsi troppo velocemente, perché ne vorreste ancora! Credetemi, non è da tutti riempire 52 minuti di tale impatto sonoro senza mai una sola volta percepire noia. Così non vi resta che premere di nuovo il tasto play e rotolare di nuovo lungo il pendio funesto di questa scarpata sonora. Tra i pezzi mi limito solo a menzionare “Almost Awake”, come vero e proprio manifesto del tutto, contenente i riff più aggressivi dell’intero l’album; ma non temete, ogni singola canzone vi marchierà a fuoco. Concludo così: presto sarà Natale: fatevi un regalo e recuperate in blocco la discografia di questi ragazzi, ma attenzione a metterla sotto all’albero assieme agli altri pacchetti, perché potreste ritrovarvi con un mucchietto di macerie e cenere fumante... poi non dite che non vi era stato detto. (Filippo Zanotti)

(Self - 2013)
Voto: 80

http://blizzardatsea.com/

domenica 28 aprile 2013

Blizzard at Sea - Invariance



#PER CHI AMA: Post Metal/Sludge/Stoner
Recensiti un paio di mesi fa col loro ultimo lavoro, torno indietro nel tempo per affrontare il debut EP degli statunitensi Blizzard at Sea, uscito nel luglio del 2011. Poco importa se si tratta di un cd di quasi due anni fa, l’importante a questo punto è non lasciarselo scappare, e ora che lo sapete, andateli pure a cercare sul loro sito bandcamp. La proposta logicamente non si discosta poi di molto dall’ultimo “Individuation”. Sarà pertanto assai semplice per me parlarvi della opening track “Islands of Stars” e delle sue intense e sospese sonorità post, con un giro di chitarra che entra nella testa e non ci lascia più, in grado di sfociare in deliranti fughe math e in una splendida chiusura di chiara rock. Il suono è sempre avvinghiante per ciò che concerne le rarefatte atmosfere, ma sa anche sprigionare una bella dose di inaspettato e impastato stoner rock, come si evince dalle note di “Closed Universe”. Le vocals si mantengono sempre costantemente incazzate, con un growling di casa Neurosis su cui giri di chitarra ci sorprendono con un’altalenante girandola emozionale, in cui fanno anche la comparsa dei sorprendenti chorus. “Simulacra” attacca in modo ubriacante con un riff magnetico e magmatico, che evolve verso suoni più sludge/stoner oriented. L’incedere di “Invariance” è ben poco lineare in tutti i brani, fino all’ultima “Action at a Distance” con le ritmiche e le chitarre più in specifico, ad alternare sapientemente riffoni che indistintamente traggono la loro origine da suoni post, sludge, stoner e math. “Invariance” non fa altro che confermare pertanto che la band di Iowa aveva le idee chiarissime anche all’esordio. Un invito obbligato quindi a dargli un ascolto. (Francesco Scarci)

martedì 12 febbraio 2013

Blizzard at Sea - Individuation

#PER CHI AMA: Post Sludge?
Lo so, avrei dovuto recensire prima “Invariance”, EP del 2011, ma troppa era la voglia di ascoltare questo secondo lavoro degli statunitensi Blizzard at Sea, datato dicembre 2012. Per chi non li conoscesse (faccio tanto il figo io, ma li seguo giusto da un paio di mesi), la band è un trio di Iowa City, che se n’è uscito appunto con 2 EPs in digipack, a distanza di un anno l’uno dall’altro, davvero assai intriganti. Il genere? Apparentemente, si tratta di un melmoso sludge/post metal, segno del dilagante imperversare di questa tipologia di suoni. L’album apre con “Accelerating Returns”, song in cui accanto ai chitarrismi asfissianti tipici, vede affiancarsi anche tortuosi e tecnici giri di chitarra, che rendono il tutto molto particolare, in quanto si discosta non poco dai dettami classici di Neurosis e soci. La band macina pesanti riffoni, si lascia andare in pregevoli break atmosferici, graffia con incursioni stoner. Strane però poi alcune scelte armonico-melodiche, decisamente fuori dagli schemi, disarmanti addirittura nella schizofrenica “The Technological Singularity”, il che mi induce a non bollare immediatamente la band come mero clone di Isis, The Ocean o Cult of Luna. I Blizzard at Sea prendono le distanze da tutto e tutti, suonando quello che gli pare e piace, reinventando totalmente un genere, che se non mostrerà una qualche evoluzione nell’immediato, rischia seriamente di vedere un veloce declino. Fortunatamente però sono arrivati Jesse, Steven e Pat a dire la loro e nei 18 minuti della conclusiva “Longevity”, arrivano quasi ad abbracciare sonorità ambient/drone nella sua prima metà, introducendo un cantato pulito e litanico (abrogato quello caustico delle prime due tracce), per poi lasciarsi andare ad una seconda metà di brano dotata di suoni ipnotici e tribali, che mettono in mostra le doti notevoli, dietro alle pelli, del bravo drummer Pat Took ed in generale di una band, dotata di una inventiva davvero invidiabile, che arriva anche a strizzare l’occhiolino agli immensi Tool. Definiti da più parti come post sludge, io mi limito a dire che questi Blizzard at Sea sono una band davvero potente e sorprendente. Nuovo crack in ambito post? Voi che ne pensate? (Francesco Scarci)