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sabato 4 maggio 2013

Alley - Amphibious

#PER CHI AMA: Death Progressive, Opeth
Tornano i russi Alley, che avevamo analizzato nel 2008 con il loro debut cd “The Weed”, un album di forte derivazione dal sound dei primi Opeth. A distanza di cinque anni da quel lavoro, ecco l’ensemble siberiano tornare in sella con “Amphibious”, un progetto che pur mantenendo palese l’impasto sonoro dei gods svedesi, cerca nuove strade e il risultato, devo darne atto all’act della piccola città di Krasnoyarsk, mostra un discreto passo in avanti per i nostri. Certo, in cinque anni era lecito aspettarsi qualcosa in più, di questo passo dovremo attendere il 2028 per ottenere qualcosa di certamente più personale. La durata delle song si continua a confermare molto lunga, a dir poco estenuante, ma poco importa perché alla fine il sound non risulterà mai statico. Citavamo per l’appunto gli Opeth, e la componente più aggressiva degli Alley, senza ombra di dubbio, continua a pagare un forte dazio, sia a livello di ritmiche che di growling vocals, ai ben più famosi colleghi svedesi. È quando i nostri si lanciano in psichedelici break atmosferici che rimango affascinato dal “nuovo” sound della band della Federazione Russa. “Lighthouse” è splendida nella sua lunga fuga lisergica, quasi uno space rock sporcato di sonorità post e death progressive, parti acustiche e buonissime cleaning vocals. Ottima song davvero, forse fin troppo articolata, laddove per suonare questo genere di musica, di attributi e classe ne servono davvero tanti. “Weather Report”, la seconda traccia, inizia dando largo spazio al cantato in pulito (e tale sarà per il resto della sua durata), mostrando l’ennesima progressione e una nuova apertura da parte del combo russo. La traccia scorre via assai fluida, attraversando le foreste del death metal, scalando le impervie montagne del progressive e tuffandosi in inaspettati abissi al limite del jazz, come si evince dalla sua delirante conclusione affidate a schizoidi chitarre sorrette da un duo formato da basso e batteria. Il sound è divenuto molto più caldo, avvolgente come la coperta di pile che mi riscalda nelle notti invernali. La band non si fa mancare ovviamente nulla, quindi non stupitevi se l’inizio della title track è affidato ad un arrembante attacco death con tanto di blast beat e gli amati ubriacanti giri di chitarra tipici di Akerfeldt e soci. Poi la band prende ulteriormente coraggio e si lancia in meravigliosi giri di chitarra, atmosfere oscure e arpeggi da paura. Stanno crescendo, non c’è dubbio, pur essendo lo spettro degli Opeth costantemente presente. Ma a questo punto non darei più molta importanza. Gli Alley stanno facendo le cose per bene, certo avessero scelto una copertina migliore per questo disco, lo avremo apprezzato ulteriormente, avrebbero avuto un impatto più positivo per il sottoscritto anziché quella brutta faccia in fase di senescenza; ridurre la durata dei brani e renderli un po' più fluenti, auspico sia il prossimo passo per i nostri, certo non vorrei attendere altri cinque anni prima che un nuovo album veda la luce. (Francesco Scarci)

(BadMoodMan Music)
Voto: 70

domenica 3 ottobre 2010

Alley - The Weed


Oggigiorno suonare un genere non derivativo è impresa assai ardua, per non dire impossibile, cosi molto spesso ci troviamo di fronte a band che non fanno altro che copiare, clonare, imitare pedissequamente le gesta di grandi gruppi del presente o del recente passato. Per come la vedo io, non è cosi drammatico riprendere gli insegnamenti dei maestri se alla fine ciò che ne viene fuori, ha un proprio perché, delle proprie emozioni da trasmettere o comunque riesce nell’intento di non lasciarci indifferenti di fronte ad una proposta musicale. Faccio questa premessa semplicemente perché ho letto critiche feroci nei confronti di questo gruppo proveniente da uno sperduto paesino siberiano, Krasnoyarsk, in quanto la loro musica non farebbe altro che adottare il principio del “copia incolla” nei confronti dei ben più famosi gods svedesi, Opeth. Ebbene che dire? Non mi sembra proprio un delitto se quel che ne viene fuori alla fine è ascoltabile o addirittura piacevole, quindi non mi sento assolutamente di condannare la scelta del quartetto russo nell’aver rispettato in modo integerrimo gli insegnamenti degli inarrivabili maestri. Insomma l’avrete capito dunque: il sound proposto dagli Alley riprende palesemente la musica di Mikael Akerfeld e soci (periodo “Still Life” e “Black Water Park”) con tutti i loro tipici marchi di fabbrica: songs estremamente articolate e lunghe, l’alternanza tra frangenti acustici ad altri più estremi, stessa effettistica nelle linee di chitarra, l’alternanza tra clean vocals (molto simili a quelle del buon Mikael) e growling feroci. Non mi soffermo neppure nell’analisi track by track perché comunque il sound dei nostri è estremamente debitore agli originali. Certo che alla fine ciò che fa la differenza tra gli Alley e gli Opeth è la classe cristallina che contraddistingue i secondi, mentre per i primi rimane il pregio di aver cercato di raggiungere le vette inarrivabili dei mostri sacri e di aver provato ad esprimere il proprio io attraverso l’influenza che i loro artisti preferiti possono aver avuto sulla musica prodotta. “The Weed” è l’opera prima degli Alley, e sono certo che con il prossimo lavoro, il coriaceo act siberiano, sarà in grado si scrollarsi di dosso l’alone dei maestri svedesi alla ricerca di una propria precisa identità. Esordio comunque positivo per chi come me, ama il prog death. Un’ultima considerazione: ma se al posto di Alley, ci fosse stato scritto Opeth, sarebbe stato fatto tutto questo baccano? Coraggio! (Francesco Scarci)

(BadMoodMan Music)
Voto: 65