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giovedì 21 luglio 2011

Aamunkajo - Avaruuden Tyhjyydessä

#PER CHI AMA: Black Funeral Doom
Signori miei, questo è puro funeral doom. L’effetto ipnotico sui sensi è garantito. Lo stacco da una canzone all’altra, infatti, appare nel complesso innaturale: toglie all’armonia un suono che pretende essere di infinito, perennemente in attesa come il cosmo. Anche in questo album l’alternanza di voce pulita a growl-screaming, funge da collante per i lenti riff. Efficacissimo l’uso di tastiere, che più che creare una loro melodia fungono da irreale sfondo. Per quaranta minuti sarete inghiottiti in un abisso vasto e profondo, dominati dal senso spasmodico di una perdita continua. Aamunkajo ci introduce in questa desolazione con la simbolica “Seinättömässä Talossa Kanssasi”, ovvero “In a Wall-less House with You”, facendoci capire fin da subito che da questo momento in poi non esisteremo altro che noi e lui, nell’universo conosciuto. Esatto: universo ‘conosciuto’… perché il titolo dell’album ha evidentemente a che fare con il senso di vuoto buio ed eterno, inneggiando a quella solitudine cosmica tanto esplorata da Lovecraft (“Avaruuden Tyhjyydessä” significa precisamente “In the Emptiness of Space”). Per quanto riguarda gli aspetti tecnici, tutte le canzoni, se non contiamo l’ultima di 8 minuti, durano attorno ai 5-6 minuti. È davvero un peccato, perché questo genere necessita di tempo, non di una toccata e fuga. Si sente l’influenza di Burzum, prevalentemente in quelle parti che alternano voce sofferente ad una gutturalità decisa. Citazioni alla lontana di “Until Death Overtakes Me”. Fantastiche anche le chitarre, che lasciano graffiare senza ritegno le loro corde, lente e dure, accompagnandoci per mano attraverso la vacuità della rovina. Il cantato è totalmente (a quanto sembra) in finlandese, lingua madre dell’autore (eh già, one man band nella più consueta tradizione funeral). Questa è realmente musica nera, senza alcun rimando ad emozioni. Doom del più buio, dove la melodia esiste solo per evitare la perpetrazione di uno slow più tetro. Per precisazione si dovrebbe parlare più di un black metal rivisto in chiave doom (è l’impossibilità di una definizione che crea la qualità). L’ultima traccia, “Graves” è la più angosciante, l’alchimia tormentata dell’intero album. Da ascoltare evocando lovecraftiane creature, ad altitudini estreme, persi tra i boschi notturni, quando le ombre che temevate da piccoli iniziano la loro processione verso oscuri antri di anfratti antichi, i cui snodi conducono a recessi insondabili. (Damiano Benato)

(Satanarsa Records)
Voto: 90