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martedì 12 luglio 2016

(EchO) - Head First Into Shadow

#PER CHI AMA: Death/Doom/Progressive, Swallow the Sun
Cinque anni di silenzi. Il vecchio vocalist che ha lasciato. Non era semplice rimettersi in carreggiata, ricominciare daccapo e dare un seguito a quel 'Devoid of Illusions' che ben mi aveva impressionato nel 2011. I bresciani (EchO) non si sono demoralizzati anzi, si sono rimboccati le maniche, forti di quella consapevolezza, che da sempre li contraddistingue, di potercela fare. Arruolato Fabio Urietti alla voce, coperti alle spalle dal lavoro di Greg Chandler alla consolle e coadiuvati da due ospiti d'eccezione come Daniel Droste, chitarra e voce dei teutonici Ahab e Jani Ala-Hukkala, vocalist dei finlandesi Callisto, i nostri sono tornati sulla scena, con un attesissimo secondo cd, 'Head First Into Shadow'. Sei lunghissime tracce, che si presentano con la decadente (e progressiva) melodia di "Blood and Skin", in cui fa il suo positivo esordio dietro al microfono, il bravo Fabio, inizialmente in una timida veste pulita, poi anche in growl. Le chitarre, inserite nel consueto contesto atmosferico, tracciano linee malinconiche nella più pura tradizione death doom, chiamando in causa alternativamente Saturnus e soprattutto gli ultimi Swallow the Sun. Ma è la sezione solistica a colpirmi di più, con un ispirato assolo conclusivo. "This Place We Used To Call Home" apre assai rilassata grazie alle clean vocals del frontman (forse un po' in difficoltà sulle timbriche più elevate) che da li a breve, cederanno ad un impulso di rabbia e frenesia, che per alcuni attimi porterà ad inasprire i toni. La traccia trova però il modo di placare il proprio iracondo spirito e continuare a dipingere affreschi di rock progressivo dai tratti eterei, enfatizzato anche da un assolo acustico posto poco oltre la metà del brano e da un break onirico verso il finale. C'è da sottolineare una certa dinamicità di fondo ascoltando questa prima manciata di pezzi degli (EchO), il che è senza dubbio positivo. In "Beneath This Lake" fa la comparsa il primo ospite del disco, il buon Daniel degli Ahab, ad impreziosire la proposta del sestetto lombardo: l'incipit è dapprima robusto per poi divenire delicato e sognante (i rimandi ad atmosfere "pink floydiane" si sprecano), poi le chitarre appesantiscono il proprio mood, ma sembra che la nuova direzione intrapresa dai nostri, privilegi maggiormente i frangenti più atmosferici, pur non mancando le improvvise accelerazioni. Tuttavia le novità per gli (EchO) non si fermano qui, visto che una serie di artefatti elettronici si accompagna con un rifferama di meshugghiana memoria in un lisergico finale del tutto inaspettato. È il turno di "Gone", che segna la partecipazione del secondo ospite in una lunghissima traccia, che vede sicuramente i nostri alzare l'asticella, complici anche nuove fonti di ispirazioni convergenti in questo nuovo disco: non solo i paladini del death doom (in questo caso direi 'The Silent Enigma' degli Anathema), ma anche, in molteplici sfaccettature, gli ultimi Opeth, i Katatonia, i Porcupine Tree, le ultime performance dei nostrani Plateau Sigma (soprattutto nella successiva "A New Maze", dove la voce di Fabio va nuovamente in sofferenza nelle alte frequenze), senza dimenticare gli stessi Callisto del bravo Jani. Gli (EchO) stanno maturando di giorno in giorno sempre di più, sebbene partissero già da una base piuttosto elevata. In chiusura, "Order of the Nightshade" si presenta non priva di ambientazioni decadenti, suoni suadenti e malinconici, rapiti da fughe rabbiose, che mettono in luce il compartimento ritmico di primissimo livello dei nostri. Non era lecito aspettarsi oltre da questo nuovo platter, che segnerà forse un nuovo punto di partenza per questa ambiziosa band italiana. (Francesco Scarci)

venerdì 23 dicembre 2011

(EchO) - Devoid of Illusions

#PER CHI AMA: Death Doom, Swallow the Sun, Saturnus
Dopo averli visti un paio di volte live (ora li aspetto con gli Agalloch), averli avuti ospiti nella mia trasmissione radio, non potevo esimermi dal recensire il debut album dei bresciani (EchO), che hanno voluto fare le cose in grande sin da subito: prodotti alla stragrande da Greg Chandler degli Esoteric (che sarà anche guest star in una delle song del cd) e registrati ai Priory Recording Studios, in UK, cover art cd affidata ad Eliran Kantor (Testament, Atheist, Sodom, Xerath tra le sue opere), il sestetto nostrano gioca immediatamente tutte le proprie carte vincenti. Il nome deriva da quello della ninfa delle Oreadi della mitologia greca, famosa per essersi innamorata di Narciso, con le parentesi invece ad indicare l’onda sonora che si propaga. Per quanto riguarda la musica invece, ci troviamo di fronte ad un album che potrebbe essere idealmente suddiviso in due parti: una prima metà che si rifà alle sonorità death doom nordiche (e mi vengono immediatamente in mente Swallow the Sun e Black Sun Aeon), cosi pregne di malinconia e dalle forti tinte invernali, caratterizzata da un’inclinazione post rock; una seconda metà invece un po’ più aggressiva, ma entriamo nel dettaglio, perché dopo la consueta intro, ci tuffiamo all’interno dell’(EchO) sound con “Summoning the Crimson Soul”, una song che mostra subito l’attitudine spinta della band di abbinare riffoni di scuola “Meshugghiana” con una spiccata vena atmosferica, grazie alle ottime tastiere di Simone Mutolo, per poi insabbiarsi nel torpore del doom che caratterizza da sempre le uscite dell’etichetta russa. Con “Unforgiven March” emerge anche una certa disposizione dei nostri ad addentrarsi in territori quasi funeral, con un sound nero come la pece, che comunque si mantiene sempre melodico con la voce di Antonio Cantarin veramente superlativa sia in fase growling che cleaning. Cenni dei primi My Dying Bride si mescolano con “Serenades” degli Anathema e frangenti acustici alla Saturnus, per un risultato finale davvero da paura. Sono rapito dalla scorrevolezza dei pezzi, pur trattandosi di un genere non cosi accessibile a tutti i palati e comunque dallo spessore della musica proposta da una band che esiste solamente da fine 2007 e che già mostra doti da veterana. Si prosegue con “The Coldest Land” e ancora emerge forte l’ecletticità di Antonio alle vocals con una performance che rischia seriamente di coinvolgere non solo gli amanti del genere death doom, ma che può richiamare (anzi deve richiamare) fan da generi decisamente più melodici. Tutto suona alla perfezione grazie alla cristallina produzione ma anche al fatto che i nostri sono ottimi musicisti e lo dimostrano sia nelle fasi più movimentate che in quelle più eteree; i giri strazianti delle chitarre si insinuano nelle nostre orecchie e sono certo che non ci lasceranno più e come con il sottoscritto vi ritroverete a fischiettare alcuni giri di chitarra meravigliosi, prima di abbandonarvi ad un finale contraddistinto da un climax ascendente di emozioni, legato ad un altrettanto eccellente lavoro dei due axemen, Simone Saccheri e Mauro Ragnoli. Sono estasiato, non so che dire, il sound degli (EchO) mi ha conquistato e divorato, per quel suo essere in costante movimento, alla ricerca di continue soluzioni per sorprendere l’ascoltatore (ascoltate l’ipnotica progressiva “Internal Morphosis” con il successivo finale dirompente di scuola djent, fantastica). Ancora un altro pezzo veramente elegante ed intelligente è rappresentato da “Omnivoid”, contraddistinto da quel suo incipit sempre estremamente atmosferico ed onirico, che ben presto lascerà posto alla furia dilagante di una splendida ritmica (sempre controllata e melodica sia ben chiaro), con ancora una volta un lavoro magistrale alle tastiere, soprattutto nella sua parte conclusiva dove ancora le chitarre ultra ribassate danno un contributo eccezionale al brano. Sempre più galvanizzato vado avanti con l’ascolto, abbandonandomi alla disperata “Disclaiming My Faults”, una sorta di semi-ballad, dove accanto a dei suoni forse un po’ troppo ruffiani (all’inizio, prima del selvaggio finale) – lo stesso leggasi per la successiva “Once was a Man” -, vorrei sottolineare nuovamente la perizia vocale del bravissimo Antonio, con un’estensione canora notevole. Menzione finale per “Sounds From Out of Space”, dove il cantato catacombale del bravo Greg aleggia nei primi minuti di questo album che mi sento di consigliare a tutti gli amanti della musica metal, dal gothic al death, passando da black e doom. Ottimo debut, senza dubbio; se poi consideriamo che sono italiani, non possiamo che esserne fieri! (Francesco Scarci)

(BadMoodMan Music)
Voto: 85